Ottimo post e bellissima storia. Adoro quando Lessin dice: «L’opzione mensile costa 39 dollari, come due viaggi in Uber a San Francisco!». Vivo in USA e proprio un mesetto fa ero nella zona di San Francisco con delle amiche, e una di loro si lamentava di come i quotidiani online vogliono farti pagare per leggere qualsiasi cosa. Io, che mi sono occupata per anni di sostenibilità del giornalismo, le ho fatto notare che più o meno fino agli anni in cui andavamo all'università (ora abbiamo 34 anni) era normale andare in edicola e comprare un quotidiano, e quindi pagare per leggere queste stesse cose. "Wow, hai ragione, non ci avevo pensato", mi ha risposto. È proprio questo il gravissimo problema: il concetto di pagare per l'informazione è andato completamente dimenticato, anche nelle generazioni che un tempo lo facevano perché era l'unica opzione. Nel frattempo questa mia amica, che vive a Los Angeles, 39 dollari è facile che li spenda per pranzo tutti i giorni (non sto scherzando).
Grazie mille Enrica. C'è da dire che ai tempi c'erano anche opzioni gratuite sostenute dalla pubblicità (trasmissioni televisive di documentari e d'inchiesta, telegiornali e radiogiornali), così come oggi, e ce ne saranno sempre. Il gioco del paywall è importante soprattutto perché spezza le redini della dipendenza da dinamiche pubblicitarie che troppo spesso impattano sulla esperienza utente o sui contenuti stessi. E poi ha anche altre qualità, tra cui rompere la catena del traffico che ha fatto tanti danni nel tempo: come scriveva Jacob Donnelly recentemente, «Pivot to Subscriptions Is a Pivot to Being Smaller». Non credo che l'informazione a pagamento possa funzionare come via esclusiva, sarebbe troppo pericoloso. Ma spero e credo che le subscription abbiano ancora ampi margini di crescita. Certo, per chiedere alle persone di pagare, quel contenuto per loro deve avere un valore tangibile. Altrimenti... A presto.
Bella condivisione. Servono racconti così per capire che non c'è solo un modo di fare le cose. E a volte funziona pure meglio di quello che pensano tutti gli altri.
Bentornato e che bello questo numero, ci voleva proprio una storia così
grazie Vale!
Ben ritrovato! 🤗
Grazie!
Ottimo post e bellissima storia. Adoro quando Lessin dice: «L’opzione mensile costa 39 dollari, come due viaggi in Uber a San Francisco!». Vivo in USA e proprio un mesetto fa ero nella zona di San Francisco con delle amiche, e una di loro si lamentava di come i quotidiani online vogliono farti pagare per leggere qualsiasi cosa. Io, che mi sono occupata per anni di sostenibilità del giornalismo, le ho fatto notare che più o meno fino agli anni in cui andavamo all'università (ora abbiamo 34 anni) era normale andare in edicola e comprare un quotidiano, e quindi pagare per leggere queste stesse cose. "Wow, hai ragione, non ci avevo pensato", mi ha risposto. È proprio questo il gravissimo problema: il concetto di pagare per l'informazione è andato completamente dimenticato, anche nelle generazioni che un tempo lo facevano perché era l'unica opzione. Nel frattempo questa mia amica, che vive a Los Angeles, 39 dollari è facile che li spenda per pranzo tutti i giorni (non sto scherzando).
Grazie mille Enrica. C'è da dire che ai tempi c'erano anche opzioni gratuite sostenute dalla pubblicità (trasmissioni televisive di documentari e d'inchiesta, telegiornali e radiogiornali), così come oggi, e ce ne saranno sempre. Il gioco del paywall è importante soprattutto perché spezza le redini della dipendenza da dinamiche pubblicitarie che troppo spesso impattano sulla esperienza utente o sui contenuti stessi. E poi ha anche altre qualità, tra cui rompere la catena del traffico che ha fatto tanti danni nel tempo: come scriveva Jacob Donnelly recentemente, «Pivot to Subscriptions Is a Pivot to Being Smaller». Non credo che l'informazione a pagamento possa funzionare come via esclusiva, sarebbe troppo pericoloso. Ma spero e credo che le subscription abbiano ancora ampi margini di crescita. Certo, per chiedere alle persone di pagare, quel contenuto per loro deve avere un valore tangibile. Altrimenti... A presto.
Bella condivisione. Servono racconti così per capire che non c'è solo un modo di fare le cose. E a volte funziona pure meglio di quello che pensano tutti gli altri.