Sei un coniglio di riso o un granchio di fiume?
Sulla moderazione dei contenuti, anche di quelli più “moderati”.
Ciao,
questa è Ellissi, la newsletter che vorrei scrivere più spesso, ma siccome ora sto lavorando al mio libro non mi avanza molto tempo per tutto il resto.
Oggi però sono di nuovo nei vostri inbox, in quelli incasinati e in quelli ordinatissimi, con una breve riflessione su social, censura e libertà.
Buona lettura.
Valerio
Conigli di riso (🍚🐰)
Negli ultimi vent’anni, su Internet, la Cina ha eretto la sua Grande Muraglia digitale.
Le app social del paese asiatico sono state invase da filtri algoritmici che censurano le parole e gli hashtag considerati “scomodi” dal governo, e che oscurano i profili e i post di chi parla pubblicamente di argomenti proibiti.
Per aggirare questa Muraglia e continuare a diffondere i propri contenuti, gli attivisti cinesi hanno sviluppato, nel tempo, dei metodi alternativi.
Quando app come Weibo e Touyin (l'equivalente di TikTok) hanno cominciato a bloccare l’hashtag «#MeToo», ad esempio, tantissime donne ne hanno adottato uno assonante, «#mǐtù», che in mandarino si può tradurre letteralmente come «coniglio di riso» — «mǐ» (米) significa «riso» e «tù» (兔), appunto, «coniglio».
Poi però, quando anche il nuovo hashtag è stato identificato e bloccato dalle autorità di sorveglianza, gli utenti hanno avuto un’altra idea: utilizzare le emoji che simboleggiano il riso e il coniglio (🍚🐰) una accanto all’altra, al posto del testo scritto.
La versione emojizzata dell’espressione «coniglio di riso» è riuscita ad aggirare i filtri degli algoritmi; questi, infatti, faticano maggiormente a identificare le illustrazioni rispetto al testo, soprattutto quando i contenuti da analizzare sono centinaia di migliaia.
Nella propaganda del governo cinese, questo tipo di censura digitale viene giustificata con l’intento di costruire una cosiddetta «società armoniosa», la «héxié shèhuì».
E in una società armoniosa, apparentemente, per il dissenso non c’è posto.
Così dal 2013 gli attivisti cinesi hanno iniziato a usare l’aggettivo governativo - «armonioso» - per riferirsi in modo ironico e polemico alla censura online, denunciando abusi ed episodi oscurantisti.
Per farlo, anche stavolta, hanno deciso di usare due emoji: quella di un fiume seguita da quella di un granchio (🏞️🦀).
L’espressione «granchio di fiume», in mandarino, si pronuncia infatti «héxiè»: un suono molto simile a quello della parola «armonioso», héxié.
Dai loro social ai nostri s*cial
Ora, dirai tu: «Ok Valerio, ma questa è la Cina. Lo sapevamo già».
E invece non è la Cina. O meglio, non solo la Cina.
Anche i nostri social, quelli che a livello commerciale potremmo definire “occidentali”, utilizzano forme simili di censura preventiva per depotenziare i contenuti di attiviste e attivisti.
Di recente ti sarà capitato di incrociare tantissimi post che parlano del conflitto in corso tra Israele e Hamas.
In alcuni di questi contenuti, avrai forse notato, gli autori modificano le parole utilizzate per riferirsi ai territori palestinesi: «G*za» o «G a z a» anziché «Gaza», «P4l3stina» anziché «Palestina».
Non si tratta di vezzi stilistici, né di segni ortografici utilizzati a scopo inclusivo.
Sono invece metodi messi in campo per eludere il controllo delle piattaforme, che usano filtri algoritmici simili a quelli del governo cinese per bloccare i contenuti che ritengono, potenzialmente, problematici.
Contenuti che, è bene ribadirlo, non inneggiano ad Hamas o al terrorismo; ma che sono, in larga parte, semplici post che parlano del conflitto o divulgano informazioni e dati al riguardo.
Per le piattaforme censurare, shadowbannare o depotenziare alcune informazioni può avere obiettivi diversi, come influenzare il dibattito pubblico o preservare un modello di business.
Difficilmente lo sapremo con certezza, anche perché le policy dei social in materia sono piuttosto nebulose.
Però, quando nei prossimi giorni ti capiterà di vedere post che parlano di tematiche politiche o belliche e che utilizzano parole modificate o strane emoji, saprai il perché: i loro autori stanno cercando di far arrivare la propria voce al di là delle Grandi Muraglie digitali del nostro tempo.
Personalmente, ritengo che simili espedienti non vadano combattuti, ma protetti e incoraggiati.
Perché solo dove c’è libertà di espressione e di informazione esiste uno spazio di discussione; e solo dove c’è uno spazio di discussione esiste una possibilità di pace.
La censura, invece, alimenta la rabbia. E la rabbia a un certo punto diventa difficile da controllare.
Indipendentemente dalle nostre idee, se crediamo nella democrazia e nell’uguaglianza, dovremmo essere tutti d’accordo: è meglio essere dissonanti conigli di riso piuttosto che armonizzati granchi di fiume.
Alla prossima Ellissi
Valerio
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Ciao!
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Speriamo che l’intelligenza artificiale non impari mai a leggere il l33t sp33ch 😅😂
Un buon post.
Secondo me i social occidentali si stanno cinesizzando solo perché la produzione di "commenti" da parte dei lettori non ha sortito i risultati sperati dai grossi colossi dell'editoria: ciò che le teste belle speravano era che i commenti e gli hashtag potessero aumentare l'amore verso i prodotti venduti e diminuire i costi pubblicitari e poter disseminare più facilmente le idee pensate da un certo tipo di persone: distruggere in sostanza la televisione sfruttando i collegamenti fra persone. Non è avvenuto, anzi i tentativi goffi per cercare di castigare i singoli come costringerti all'uso del nome vero sono falliti (anzi, hanno aumentato i comportamenti radicali) l'infrastruttura che hanno costruito per comunicare c'é e adesso si ritrovano a dover rimettere il genio dentro la bottiglia usando una stupida robomoderazione. E lo fanno costringendoti anche a scrivere "h0rr0r" con gli zeri per parlare di Clive Barker.
Per me è solo un vantaggio: meno viralità vera, con contenuti di cui mi frega veramente, vuol dire meno tempo speso a fare doomscrolling su Twittebookagram, quindi ben venga questa nuova versione del futuro.