Ciao,
ne è passata di acqua sotto ai ponti dal 2020, quando questa newsletter veniva spedita per la prima volta.
Oggi siamo quasi 16.000, e ogni volta mi sorprendo del vostro entusiasmo e delle vostre risposte.
Penso sia davvero molto bello, e per me è tutt’altro che scontato.
Oggi parlo di qualcosa che ci riguarda tutti: l’apparentemente inarrestabile ibridazione tra social e TV.
Buona lettura.
Valerio
Salotti social
Dopo anni trascorsi in prigione, Hoder non riconosceva più l’Internet che aveva lasciato.
Il blogger iraniano, arrestato nel 2008 poiché voce sgradita al governo, venne incarcercato fino al 19 novembre 2014, data della grazia che portò al suo rilascio. Aveva 39 anni.
In un articolo pubblicato su Matter nel 2015 e intitolato The Web we have to save, Hoder (il cui vero nome è Hossein Derakhshan) scrisse un articolo in cui rifletteva su quanto fosse cambiata la rete nel periodo del suo isolamento.
In particolare, il blogger notava come l’intrattenimento fornitoci h-24 dai social avesse trasformato Internet in qualcosa di molto simile a una televisione, fatta di tanti canali tra cui facciamo continuamente zapping.
«Il web non era stato ideato come una forma di tv, almeno originariamente; tuttavia, che ci piaccia o no, le somiglia sempre di più: è lineare, passivo, programmato e ripiegato su se stesso», scriveva.
Sono passati quasi dieci anni da quell’articolo, eppure le considerazioni di Derakhshan sono ancora attuali — e quantomai azzeccate.
Oggi Internet è una grande piattaforma centralizzata, proprio come la televisione, al cui interno i contenuti vengono distribuiti in un flusso continuo e senza pause.
E se a scegliere la programmazione non sono esseri umani, ma algoritmi, poco cambia. Noi restiamo fruitori passivi: ciò che vediamo è basato sempre meno sull’espressione di una nostra preferenza attiva, ma sull’intervento di qualcuno-qualcosa che sceglie per noi.
Eravamo e restiamo spettatori, insomma.
Anche se ci hanno detto che online ognuno può diventare un creator, come ha scritto Philip Di Salvo su Wired, la verità è che a creare effettivamente contenuti è «solo una strettissima minoranza degli utenti» e «il vero lavoro delle audience è soprattutto quello di produrre dati».
Mentre il divario tra persone e creator aumenta anziché diminuire, l’ibridazione tra social e televisione è sempre più forte.
Non è un mistero che i personaggi più in vista sui social tendano a diventare star del piccolo schermo, dai Ferragnez a MrBeast, il quale condurrà un nuovo reality show multimilionario per Prime Video.
«Il mio obiettivo è realizzare il più grande show mai fatto e dimostrare che YouTuber e creator possono avere successo su altre piattaforme», ha dichiarato MrBeast, all’anagrafe Jimmy Donaldson.
È plausibile che tra dieci anni il 100% dei volti televisivi più noti avrà iniziato la propria carriera non dalla gavetta televisiva, ma dalle piattaforme digitali stesse.
Mentre i volti dei social vanno in tv, accade anche l’opposto.
Formati tradizionalmente televisivi come le soap opera si trasformano in serie short-form sulle app, diventando sempre più popolari.
Prendiamo l’esempio di FlexTV in Cina o di Cobell Energy, una specie di The Office girato in verticale e distribuito su TikTok, Instagram e YouTube.
L’ibridazione di linguaggi è sempre maggiore, insomma. E così i social entrano sempre più spesso nel salotto di casa.
Il piccolo schermo che ritorna “grande”
C’è un dato pazzesco che non possiamo ignorare: quasi la metà (45%) di tutte le visualizzazioni di YouTube negli USA avviene oggi sui televisori di casa. Il 30% in più rispetto al 2020.
La piattaforma video sta investendo pesantemente in questa forma di fruizione lineare, e anche le sue mosse somigliano sempre di più a quelle di un canale tradizionale.
Un anno e mezzo fa, per esempio, ha speso 14 miliardi di dollari per acquisire i diritti delle partite di football americano dell’NFL Sunday Ticket.
I modelli di business si trasformano di pari passo.
Sullo schermo orizzontale del salotto le pubblicità sono più grandi e decisamente più lunghe, e quindi più remunerative.
Anche TikTok vuole una fetta di questa torta.
Da un anno l’app cinese sta testando un’app per le Smart TV in Asia, costruita appositamente per superare i limiti dei piccoli schermi degli smartphone.
Del resto, anche quel pubblico sta invecchiando: i meno giovani tra i GenZ quest’anno compiranno 28 anni, entrando in un periodo della propria vita in cui non è improbabile che abbiano un lavoro stabile, una casa, una famiglia.
È possibile, quindi, che le smart TV diventeranno dei device di intrattenimento sempre più interessante anche per queste persone, che trascorrono sempre più tempo a casa con i propri partner e i propri figli.
Il «noi» quotidiano
Nel 2013, Joseph Turow, all’interno di un paper accademico intitolato The Daily You, scriveva: «Non è più chiaro che cosa significhi guardare la televisione».
Ecco, oggi potremmo dire - parafrasandolo - che non è «più chiaro cosa significhi usare i social media», i quali stanno fagocitando il mondo dell’intrattenimento con i loro linguaggi e i loro formati, finendo anche per occupare i device che per tanti anni hanno considerato come il passato.
Una delle tante conseguenze di questa progressiva commistione è l’appiattimento della proposta culturale, quella che Andrea Girolami ha definito «l’era della monocultura».
Anche cambiando schermo, troveremo sempre le stesse cose.
Questo significa che a prevalere sarà un nuovo mainstream a reti unificate, mentre la promessa di unicità e personalizzazione dei feed For You si svelerà come un’immensa bugia.
C’è il rischio, dunque, che la tv somigli sempre più a una replica malfatta di Internet.
E che Internet al contempo, come ha scritto Kyle Chayka, diventi «sempre più vuoto, come un corridoio che riecheggia, anche se è pieno di contenuti come non mai».
I nostri salotti diventeranno sempre più social, e i nostri social sempre più da salotto.
Ci piace?
Alla prossima Ellissi
Valerio
Riavviare il sistema: il mio libro
Se hai apprezzato questa newsletter, ti piacerà il mio libro: «Riavviare il sistema. Come abbiamo rotto Internet e perché tocca a noi riaggiustarla», pubblicato da Chiarelettere.
In questo saggio affronto le grandi trasformazioni della rete negli ultimi trent’anni, cercando di capire come i modelli di business del Web abbiano trasformato sia il nostro modo di interagire e relazionarci, sia la società in cui viviamo.
E, in qualche modo, abbiano finito per trasformare noi stessi.
Nella mia reading list
🟡 «Le classifiche di Billboard sono manipolate».
🟡 Quando le tue recensioni su Google ti fanno finire in prigione.
🟡 Il 30% del tempo che passi su TikTok stai guardando pubblicità.
🟡 Laurie Anderson si è creata un chatbot conversazionale per parlare con l’ex marito, Lou Reed.
🟡 Un investimento milionario per rifare il tappo del ketchup: soldi spesi bene?
🟡 A breve quasi tutti gli articoli del New York Times si potranno ascoltare, grazie all’AI.
🟡 Catturare tutti i rumori del mondo.
Considerazioni molto vere, che ci portano a riflettere su come noi stessi utilizziamo i "canali" dell'internet, un po' come facevamo circa vent'anni fa con la TV. Io ad esempio a casa il televisore non è collegato all'antenna RF. Lo utilizzo come fosse un monitor, con la Fire TV in una porta HDMI, per guardare servizi streaming. YouTube lo frequento poco, ma quando lo faccio è in maniera mirata, una sorta di motore di ricerca per tutorial, notizie specifiche, dirette streaming di eventi. Ho abbandonato Facebook da almeno 2 anni, perché è diventato come Mediaset, che nemmeno in TV guardavo, appunto. Twitter, che frequentavo tantissimo fino a un paio di anni fa, è diventato come La Zanzara di Cruciani, dove imperano hater e una comunicazione caotica e spesso violenta. Su Instagram ci pubblico solo notizie scientifiche per i miei studenti e studentesse, ma non lo frequento come consumatore di contenuti. Su TikTok per scelta non ci sono mai stato, perché credo sia proprio il media più televisivo di tutti, dove l'utente è trattato nella maniera più passiva possibile.
L'unico "canale internet" che frequento passivamente e attivamente è LinkedIn. Certo, finché Microsoft non deciderà davvero di gamificarlo, come ha annunciato di voler fare.
Vivo di podcast, che sebbene sia un media molto 1.0 (facciamo 1.5 dai) è molto come la radio, con una offerta sempre più grande di contenuti dei più vari, e di elevatissima qualità.
E poi si, c'è Substack, che ha reso il meraviglioso mondo delle newsletter più 2.0, non per nulla siamo qui a leggere e commentare, e fare 'restacking' delle cose belle.
“È plausibile che tra dieci anni il 100% dei volti televisivi più noti avrà iniziato la propria carriera non dalla gavetta televisiva, ma dalle piattaforme digitali stesse” sarà la TV che conosciamo a scomparire. Sarà uno strumento per guardare i contenuti in rapida ascesa oggi -come lo sono lo smartphone e il pc ora- e non come il principale mezzo d’intrattenimento