Ciao,
ci ritroviamo in questo piccolo spazio di divulgazione per parlare di qualcosa che usiamo tutti i giorni: il linguaggio.
Oggi Ellissi è supportata dal quotidiano Domani, che ringrazio, e che ha una promozione speciale dedicata alle lettrici e ai lettori di questa newsletter. Esatto, voi.
Trovate tutte le informazioni più in basso.
Intanto, buona lettura
Valerio
Quando abbiamo smesso di tradurre il mondo
Cos’hanno in comune Duolinguo, la popolare “app del gufo verde” che vuole aiutarci a imparare una nuova lingua senza annoiarci, e i CAPTCHA, i noiosissimi quiz che ci vengono proposti dai siti per capire se siamo umani oppure bot?
La risposta è semplice, ma tutt’altro che scontata: lo stesso ideatore, Luis von Ahn.
Fu proprio il 46enne di origine guatemalteca a creare, nel 2000, i simpatici test di trascrizione (quelli del «trascrivi il codice alfanumerico nell’immagine») che avrebbero poi invaso Internet.
E fu lui a inventare anche i reCAPTCHA, i sistemi di riconoscimento più avanzati che ci chiedono di identificare determinati soggetti all’interno di una sequenza visuale («seleziona tutte le foto che contengono idranti»).
Von Ahn è considerato un pioniere dei cosiddetti games with a purpose (letteralmente: giochi con un scopo): esperienze interattive che le persone utilizzano e, così facendo, generano “effetti collaterali” che possono essere usati per scopi computazionali utili.
I reCAPTCHA, per esempio, servono ad allenare i sistemi di intelligenza artificiale: mentre verifichiamo la nostra “umanità” selezionando immagini, aiutiamo i modelli di machine learning ad apprendere — per esempio a distinguere un semaforo da una striscia pedonale, un pesce da un cervo, un grattacielo da una ferrovia.
Quest’ultima tecnologia fu poi venduta da von Ahn a Google, nel 2009, per una cifra di 35 milioni di dollari.
Con quei soldi, nel 2011, von Ahn lanciò Duolinguo: un’app di apprendimento linguistico che si basava su un principio simile a quello dei reCAPTCHA.
Era, anch’esso, un “gioco utile”: traducendo vocaboli stranieri nel proprio idioma nativo, gli utenti silenziosamente contribuivano a creare una specie di dizionario globale in continua espansione, che veniva poi rivenduto ad aziende come CNN e BuzzFeed per aiutarle a tradurre automaticamente gli articoli.
Oggi Duolinguo non solo esiste ancora, ma è diventata l’app di apprendimento linguistico più usata al mondo: dichiara oltre 100 milioni di utenti attivi al mese (l’80% dei quali fuori dagli USA), più di competitor come Babbel, Rosetta Stone e Jumpspeak.
Tuttavia, se il gioco è rimasto al centro del prodotto, il modello di business di Duolinguo è cambiato: oggi si regge in larga parte sulla pubblicità, mentre gli abbonati premium sono circa il 10% del totale.
Il fondatore dell’app, che ha sempre fatto dell’automazione dei corsi il proprio vanto, sta investendo in modo crescente sull’intelligenza artificiale (con conseguenze anche per chi ci lavora).
Recentemente Duolinguo ha introdotto degli avatar animati dotati di varie personalità - simili ai personaggi di un videogioco - con cui le persone possono dialogare, e che si adattano automaticamente al livello di conoscenza di ciascun utente.
In una recente intervista, von Ahn ha spiegato che il più popolare dei personaggi proposti al momento è «un’adolescente emo con i capelli viola che non si impressiona facilmente».
Questa spinta alla “ludicizzazione” dell’esperienza dell’utente - la gamification - è, secondo il fondatore, la chiave per mantenere alto il coinvolgimento nell’apprendimento di una lingua. Che, in fondo, è l’obiettivo commerciale principale di Duolinguo.
Duolinguo vede nell’intelligenza artificiale una grandissima opportunità, giustamente.
Ma non dovrebbe dimenticarsi degli stravolgimenti che la nuova tecnologia sta già portando all’intero settore del language learning — così come dei cambiamenti che genererà nelle necessità degli utenti, che proprio grazie all’IA avranno sempre meno bisogno di imparare una lingua diversa dalla propria.
Chi di IA ferisce…?
Qualche giorno fa mi trovavo in un Airbnb a Sarajevo con la mia compagna.
Leilah, la proprietaria dell’appartamento, comunicava con noi usando Google Translate.
Prilikom odjave možete ostaviti svoje ključeve u kutiji na ulazu, digitava sullo schermo.
Al checkout puoi lasciare le chiavi nella cassetta all'ingresso, la scritta che appariva pochi istanti dopo sullo schermo, in italiano.
«Mnogo dobro, hvala», molto bene, grazie, ho risposto io a voce, grattando il fondo delle mie scarse reminiscenze di serbo-croato accumulate anni fa, quando mi trovavo in Kosovo per girare un documentario.
Quella con Leilah non sarà stata la comunicazione più calda e piacevole della storia, certo, ma è stata efficace. Le traduzioni automatiche stanno diventando sempre più affidabili e sempre più veloci.
Ponendoci di fronte a una domanda cruciale: per quanto tempo ancora ci servirà imparare una lingua straniera per comunicare con un altro essere umano?
In questo senso, Google Translate sembra già preistoria. Nuovi sistemi di traduzione in tempo reale stanno inondando piattaforme e device.
Spotify sta per introdurre una nuova funzione che permetterà di tradurre le voci originali dei podcaster in svariate lingue: tra i primi “tester” ci sarà Trevor Noah, comico e conduttore americano, il cui podcast verrà doppiato usando il suo timbro vocale.
Vimeo, la piattaforma di streaming, ha appena lanciato un servizio che consente alle aziende di tradurre i propri video in 29 lingue diverse, sincronizzando i movimenti labiali degli speaker con l’audio generato automaticamente.
Sui Ray-Ban Meta Smart Glasses - la cui storia recente ho raccontato qualche settimana fa - sta per arrivare un’app di traduzione delle conversazioni in tempo reale, che convertirà sia il nostro parlato sia quello del nostro interlocutore (qui una breve demo).
Qualcosa di simile avviene sui telefoni Samsung di ultima generazione, che grazie alla funzione “Interpreter” sono in grado di tradurre le telefonate in tempo reale.
E siamo solo all’inizio.
Lost in automation
Gli impatti dell’intelligenza artificiale sul modo in cui comunichiamo - anche tra popoli che parlano lingue completamente differenti - saranno vasti e profondi.
Alcuni saranno positivi, certo.
Ad esempio, il sistema di traduzione automatico di Meta potrebbe contribuire a preservare dall’oblio linguaggi rari che rischiano di estinguersi.
Ma l’idea che un giorno non lontano ogni esperienza IRL potrà essere “sottotitolata” avrà effetti dirompenti sia sull’industria delle traduzioni, che oggi vale circa 65 miliardi di dollari, sia su quella dell’apprendimento linguistico.
Gli interrogativi non mancano.
Quanto è a rischio il mestiere del traduttore, che già oggi è notevolmente sottopagato? Come si evolverà?
E come si adatteranno al nuovo scenario le scuole di inglese, spagnolo e tedesco? E la stessa Duolinguo, vedrà la sua crescita arrestarsi?
Infine: quanto i sistemi automatici alimentati dall’IA saranno in grado di garantire traduzioni adeguate ai contesti culturali e alle sensibilità sociali più disparate? Quali saranno gli standard qualitativi di queste traduzioni, e chi si assicurerà di verificarli e di prevenirne i bias?
Già ora, non appena le piattaforme di streaming riducono i budget investiti per tradurre film e serie considerate minori, le differenze si vedono.
Gabriel Nicholas, ricercatore presso l'organizzazione no-profit Center for Democracy and Technology, ha detto al The Atlantic «che parte del problema con i programmi di traduzione automatica è che spesso sono falsamente percepiti come neutrali».
«La verità è che non esiste un unico modo giusto o corretto per trasporre una frase dal francese al russo o a qualsiasi altra lingua: è un'arte, piuttosto che una scienza», ha aggiunto.
Vedremo. Che un giorno l’IA ci permetterà di comunicare con qualsiasi persona vogliamo, aprendoci a un nuovo mondo sottotitolato ricco di opportunità economiche e culturali impensabili fino a ora, è pressoché sicuro.
Ma il rischio di passare da lost in translation a lost in automation esiste, e il prezzo da pagare potrebbe essere piuttosto caro. Sicuramente più di un abbonamento a Duolinguo.
Kapish?
Alla prossima Ellissi
Valerio
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