Ciao!
Oggi su Ellissi parliamo di come stia cambiando il motore di ricerca più diffuso al mondo, e di come i giornali dovranno adattarsi ancora una volta.
Grazie a chi è venuto in queste settimane alle presentazioni del mio libro Riavviare il sistema.
Prossime tappe: Bologna (13 giugno al We Make Future, con Alessandro Grazioli), Milano (16 giugno al Wired Next Fest, con Mafe de Baggis) e Modena (27 giugno all’Associazione DIG, con Giulia Paganelli).
Ci vediamo in giro :)
Valerio
«L’ho letto su Google»
Era solo questione di tempo? Probabile. Ma il momento è finalmente arrivato.
A breve non avremo più bisogno di uscire da Google per trovare le risposte alle nostre domande.
Sarà il motore di ricerca stesso che, dopo avere trovato le informazioni più pertinenti sul web, le sintetizzerà grazie all’AI e ce le restituirà in pochi secondi sotto forma di testo, includendo dati chiave e link per approfondire.
Si chiamano AI Overviews e «googleranno al posto nostro», come ha spiegato l’azienda, che ha definito lo scenario come un importante platform shift.
Funzioni simili non sono una novità assoluta: qualcosa di molto simile avviene già su altri motori di ricerca come Perplexity, Brave Search e in parte anche su Bing.
Qui però si parla di Google che, come sappiamo, ha un potere maggiore rispetto ai competitor: detiene ancora l’81% del market share globale sulla ricerca, e ciò che decide ha ripercussioni profonde sull’intera struttura di Internet.
Per ora, la nuova funzione soffre ancora delle allucinazioni tipiche degli LLM («metti la colla sulla pizza») ed è stata sorpresa a rilanciare teorie complottiste del passato.
In futuro, però, le AI Overviews diventeranno un servizio chiave per gli utenti, su questo non ci piove.
Perché dovrei perdere tempo a scorrere una lunga lista di link verso siti sconosciuti per trovare le informazioni che cerco, se posso affidarmi a un’intelligenza che mi conduce esattamente dove voglio arrivare, e per giunta facendomi fare meno strada?
Come prevedibile, c’è anche a chi la novità è piaciuta meno.
L’annuncio ha risvegliato ansie ataviche nelle redazioni dei giornali, per cui Google è rimasta l’unica fonte di traffico indiretto davvero importante dopo la scomparsa delle news dai social: un traffico che genera ricavi, e i ricavi servono per pagare gli stipendi ai giornalisti.
In molti si stanno chiedendo: cosa succederà quando arriveremo al Google Zero, il momento in cui il motore di ricerca più usato al mondo porterà “zero click” al resto del Web?
Gli editori temono di veder scomparire una buona fetta del loro ricavato pubblicitario, il che metterebbe a repentaglio la propria - già precaria - sostenibilità.
Si tratta di uno scenario apocalittico o di un’ipotesi davvero plausibile?
I click stanno a zero
Respiriamo. Già oggi, oltre il 40% delle ricerche su Google non produce alcun click.
Sundar Pichai, ceo di Google, ha specificato che i link resteranno importanti nell’economia di interscambio tra il motore di ricerca e il resto di Internet, ma non ha negato che gli impatti saranno profondi.
«Io sono ottimista, già nel 2010 davano il Web per morto» ha detto a The Verge, «ma capisco la reazione. L’AI porta un grande cambiamento, i cui effetti saranno dirompenti».
Da capire quale equilibrio si deciderà di preservare. Google controlla parte dell’infrastruttura pubblicitaria di molti editori, e quindi guadagna anche spedendo traffico anche al di fuori del suo portale.
In più, per funzionare al meglio, ha bisogno di contenuti sempre aggiornati, verificati, ben organizzati e ben scritti — un lavoro che non può né vuole fare in prima persona, e per cui necessita di un supporto umano.
È proprio su questa economia circolare che si gioca la partita del prossimo plaftorm shift.
Le testate hanno già vissuto numerosi alti e bassi nel loro rapporto con le piattaforme. Alcuni hanno saputo adattarsi rapidamente; altri sono stati costretti a inseguire.
Le persone, nel frattempo, si sono abituate a recuperare informazioni direttamente sulle piattaforme. A fidarsi degli algoritmi e del loro “lavoro” curatoriale.
Ricordate il vecchio adagio «l’ho letto su Facebook»? Ecco, potrebbe diventare presto «l’ho letto su Google».
Non bisogna però perdere di vista il quadro complessivo; la trasformazione, che sarà inevitabile, andrà affrontata con lucidità e senza allarmismi.
Se è plausibile attendersi una diminuzione del traffico che il motore di ricerca spedirà verso i siti di blog e testate giornalistiche - c’è chi stima tra il 2% e il 9% - questo non significa automaticamente che i giornali siano spacciati.
Il mestiere più antico del web
Da un lato, i giornali dovranno continuare a fare evolvere il loro modello di business.
L’attenzione e l’advertising sono e saranno sempre più in mano alle piattaforme, quindi per le testate dipendere dagli introiti derivanti dalla pubblicità e dalle sue fluttuazioni è una scelta sempre più rischiosa.
Allo stesso modo, sperare di trovare un nuovo e salvifico “generatore di click” che riempia il buco lasciato da Google non sembra una grande strategia.
I media di informazione dovranno inventarsi nuove forme di ricavo per spostare progressivamente la dipendenza da banner e video ads verso qualcos’altro: abbonamenti, servizi per le aziende, e-commerce, eventi, formazione, cosa che in parte sta già avvenendo.
Dovranno diversificare il loro portafoglio e le loro offerte. Mantenendo il giornalismo al centro, certo, ma allontanandosi dalla concezione più tradizionale del “business del contenuto”.
I giornali dovranno infatti abituarsi all’idea di una riduzione del pubblico sui loro siti e sviluppare strategie che gli permettano allo stesso tempo di conoscere meglio e di fidelizzare al massimo i lettori.
«Meglio avere un rapporto più profondo con un pubblico più piccolo che un rapporto più superficiale con un pubblico più grande», ha sintetizzato perfettamente Cory Munchbach, amministratrice delegata di BlueConic.
Le redazioni dovranno probabilmente sviluppare linee editoriali meno “generaliste” e più indicate a servire delle nicchie ben precise di pubblico, ognuna con i propri bisogni specifici.
L’AI batterà sempre l’umano nell’ingerire, rimasticare e sintetizzare le informazioni — ma il lavoro dei reporter in teoria è un’altra cosa.
Le testate dovranno quindi tornare a fare quello che talvolta hanno messo in secondo piano nel tentativo di inseguire i capricci delle piattaforme.
Esatto: il giornalismo.
Alla prossima Ellissi
Valerio
Nella mia reading list
🟡 Scopro ora che esiste un «giornalismo basato sui fatti». E l’altro che è, scusate?
🟡 È stato scoperto il luogo dove fu scattata la foto originale delle «backrooms». È in Wisconsin.
🟡 Non so se siete pronti per l’ascesa inarrestabile degli audiogiochi.
🟡 Il gig working è sempre più (anche) roba da pensionati.
🟡 La pubblicità televisiva sta diventando sempre più irrilevante.
🟡 Il futuro dell’intelligenza artificiale è al centro di una battaglia tra miliardari.
🟡 L’Ellissi di settimana scorsa è stata citata da Giovanni De Mauro su Internazionale.
🟡 Un bell’ebook gratuito sui conflitti cyber che si combattono in Ucraina e Medio Oriente, realizzato da
.🟡 «Alla base della noia c'è un desiderio impossibile da soddisfare, perché la persona annoiata cerca sempre nel posto sbagliato».
🟡 Come scompare Internet in Cina.
«Riavviare il sistema»: viaggio nel presente e il futuro della rete
Se ti stanno a cuore temi come il nostro rapporto con la tecnologia e il futuro di Internet, ne scrivo nel libro intitolato «Riavviare il sistema. Come abbiamo rotto Internet e perché tocca a noi riaggiustarla», pubblicato da Chiarelettere.
Grazie di questa analisi puntuale, di cui apprezzo in modo particolare il finale: le testate devono smettere di fare i capricci delle piattaforme e tornare a fare il giornalismo che a furia di inseguire i capricci hanno spesso lasciato da parte.
Ho lavorato per tanti anni nella divisione News di Google. Mi assunsero nel 2016 per fare quel lavoro curatoriale che in questo pezzo tu, giustamente, metti tra virgolette: in pochissimi sanno che ci fu un periodo di circa 3-4 anni in cui a Google operava un team editoriale per la app News ("Google News" internamente si riferisce solo alla app; le notizie sulla pagina di ricerca sono "News on Search"; poi c'è Discover, il feed di notizie perlopiù clickbait sullo screen -1 di Android e la app di Google su iOS). Io curavo esperienze editoriali per l'Italia e l'Europa. Poi mi sono occupata di esperienze per la sostenibilità dell'industria giornalistica: funzionalità che invitavano gli utenti a scoprire e seguire e/o abbonarsi a testate giornalistiche dalle più grandi alle meno conosciute.
Sono stati anni molto belli e posso garantirti che internamente, almeno ai piani aziendali a cui una "piccola" come me poteva accedere, ci credevamo e ci tenevamo davvero. Volevamo davvero lavorare al servizio del giornalismo (tutto il mio team era composto da giornalisti, me compresa).
Poi sono arrivati i licenziamenti, e siamo stati tra i primi a sparire. Nell'ultimo anno e mezzo Google ha progressivamente ridimensionato i propri investimenti in News, sempre più, sempre più. Io non so cosa stiano facendo ora (se lo sapessi vorrebbe dire che lavorerei ancora lì e non potrei dire nulla comunque), ma parlando a titolo del tutto personale, ho delle sensazioni molto negative. La mia previsione è che il risultato finale sarà un completo allontanamento dalle notizie come "prodotto" intorno al quale sviluppare user feature, un po' come ha fatto Facebook - troppo rischioso. La relazione di dipendenza tra giornalismo e giganti tech si muove in una direzione univoca, da parte del giornalismo, e non interessa i giganti tech.
Il tuo invito finale è davvero la soluzione per risolvere le parti tossiche di questa complicatissima relazione - qui in USA, ma anche in UK (Guardian) e Francia (Le Monde) vedo grandi cose, l'Italia mi preoccupa un po' perché non riscontro la stessa cura, attenzione e iniziativa nelle testate mainstream, ma voglio essere ottimista grazie anche al lavoro di voci come la tua!