Ciao,
la pausa estiva si avvicina anche per Ellissi, ché qui ci stiamo sciogliendo. 🫠
Ancora un’uscita e poi ci risentiamo a settembre!
Oggi ti parlo del “nuovo iPhone” (in senso lato, intendiamoci).
Buona lettura,
Nell'era del post-vedere
Conosciamo tutti il significato del termine forecasting: il tentativo di prevedere il futuro basandoci su fatti e avvenimenti del presente e del passato.
Siamo meno avvezzi invece al suo opposto, il cosiddetto backcasting.
Questo approccio, ideato da John B. Robinson nel 1982, consiste nell’immaginare un futuro ideale e auspicabile, per poi individuare le politiche, le azioni e le tecnologie da mettere in campo per cercare di raggiungerlo.
Potremmo definirlo un metodo di sviluppo a “ingegneria inversa”.
Il backcasting non cerca anticipare il domani più probabile, l’evoluzione più verosimile dell’oggi.
Punta invece a ideare uno scenario - solitamente positivo - per l’umanità, e poi a elencare tutti i passaggi a ritroso necessari, nel tempo, affinché esso si avveri.
Questo concetto mi ha sempre affascinato, anche perché implica che l’innovazione sia uno sforzo collettivo, un lavoro di gruppo, cui partecipano attori tecnologici, politici e sociali uniti da un obiettivo comune.
Per i supporter del backcasting, l’innovazione non è mai l’assolo di un solo individuo, o di una singola azienda.
Bulbi e radici
Come saprai, quindici giorni fa Apple ha presentato un nuovo gadget tecnologico, definendolo “rivoluzionario”.
Il Vision Pro è un computer facciale che ci permetterà di consumare contenuti e utilizzare applicativi internet che si fondono e interagiscono con lo spazio fisico che ci circonda: una stanza, un lungomare, un’automobile, un parco pubblico.
Potremmo governarlo con i movimenti degli occhi e delle dita; un’immagine dei nostri occhi verrà proiettata verso l’esterno, per alleviare l’impressione - la nostra, ma soprattutto quella degli altri - di essere isolati dal contesto.
Per Apple sarà l’inizio di una “nuova era del computing”, paragonabile a quella avviata dall’iPhone nel 2007.
Sul palco, Tim Cook ha persino scomodato la frase “One more thing…”, quella delle grandi occasioni, per presentare il device.
Non mi permetto di fare una pre-recensione del Vision Pro - lavoro che lascio volentieri ad altri - ma di esprimere una riflessione sì: questo nuovo visore è davvero tanto innovativo quanto promette di essere?
La risposta, credo, cambia a seconda di qual è la nostra definizione di innovazione.
Se per innovazione intendiamo quella promessa dal forecasting, che si basa sull’oggi per prevedere il domani, allora il Vision Pro può essere definitivo, senza dubbio, innovativo.
Da anni infatti centinaia di aziende lavorano per rimuovere le limitazioni fisiche nell’esperienza digitale, e il nuovo prodotto di Apple, che verrà lanciato solo nel 2024, si candida a diventare - almeno a giudicare dai video ufficiali - il più evoluto giocattolo di questo mercato.
Ma le sue sbandierate “funzioni”, più che bulbi di futuro, sembrano estensioni delle radici del nostro presente.
I casi di utilizzo mostrati da Apple nei video promozionali (guardare un film in streaming, inviare e ricevere messaggi, registrare video in alta definizione), infatti, non ci permettono di compiere nessuna azione che non sia già fattibile oggi con uno smartphone.
In questo senso il Vision Pro pare, allo stato attuale, soprattutto un’innovazione di user experience — ma non di concetto, e forse nemmeno tanto di prodotto.
Stuzzicadenti ed estrazioni
Quando l’iPhone ci liberò degli stick - ti ricordi quei bastoncini di plastica simili a stuzzicadenti che usavamo per pigiare le icone sullo schermo? LOL - la nostra esperienza del digitale migliorò radicalmente.
I polpastrelli, si scoprì, erano uno strumento incredibilmente efficace per mandare e-mail o cazzeggiare su YouTube, e ne eravamo già provvisti.
La vera rivoluzione portata dall’iPhone però non fu l’aver mandato in pensione gli stick, quanto piuttosto l’avere inventato l’App Store: un marketplace con migliaia di app a nostra disposizione.
D’un tratto potevamo accedere a tantissimi servizi, sempre a portata di click dovunque ci trovassimo, la maggior parte dei quali completamente gratis.
Lo Store e le app al suo interno - quasi tutte sviluppate non da Apple, ma da aziende terze - finirono per trasformare interi settori commerciali.
Furono in grado di innovare i marketplace del tempo, ma anche di crearne alcuni completamente nuovi.
Sotto questo aspetto, almeno fino a oggi, il Vision Pro sembra essere piuttosto carente.
Quali sono i servizi innovativi che un oggetto come il “computer facciale” ci permetterà di raggiungere, e che oggi ancora non sono alla nostra portata?
Quali i nuovi marketplace che sarà in grado di trasformare e di creare da zero?
Avrò io poca immaginazione, ma credo che per rendere il Vision Pro qualcosa di diverso da un telefono a tre dimensioni, Apple avrà bisogno anche stavolta di un aiuto “da casa”.
Così come avvenne ai tempi dell’App Store, il successo del nuovo dispositivo dipenderà infatti dagli sviluppatori esterni — che avranno il compito di creare applicativi e casi di utilizzo innovativi che sfruttino appieno le potenzialità del device.
L’azienda di Cupertino lo sa bene, ed è proprio per questo che ha deciso di presentare il visore con largo anticipo proprio all’interno della sua conferenza annuale dedicata agli sviluppatori.
Questo approccio, che funzionò così bene 15 anni fa, oggi mi lascia perplesso.
È normale che una corporation miliardaria sfrutti l’ingegno creativo di una serie di attori più piccoli, chiedendo loro di compiere uno sforzo di gruppo per portare a compimento un progetto commerciale che non gli appartiene?
Di chi sarà, davvero, l’innovazione che scaturirà da questo processo? Chi si prenderà i meriti, e la stragrande maggioranza dei ricavi?
Da backcaster, oggi, fatico a capire quale sarà l’impatto positivo che l’Apple Vision Pro avrà sulla nostra vita — individuale e collettiva.
L’obiettivo dell’azienda americana sembra piuttosto un altro, ovvero quello di posizionare un ennesimo schermo tra noi e la realtà, e dunque di convincerci a “indossare” un altro layer digitale da cui estrarre poi dati utilizzabili a livello commerciale.
Un po’ quello che Meta sta - o stava? - tentando di fare con il metaverso.
One more thing…
L’ultima grande creazione tecnologica “pubblica” è stata Internet.
Negli ultimi vent’anni ci siamo arresi, lasciando che fossero le aziende private a trainare l’innovazione.
Vogliamo davvero che siano le big tech le uniche entità destinate a guidare questo processo?
Le corporation estraggono da noi più valore di quanto siano in grado di restituircene; il prezzo di questa estrazione lo paghiamo poco alla volta, quasi senza rendercene conto.
I loro obiettivi non combaceranno mai con i nostri, con quelli della collettività.
Forse è arrivato il momento di opporci al fatto che siano le trimestrali d’azienda a scrivere il progresso dell’umanità.
Perché non c’è vera innovazione se il risultato finale avvantaggia soltanto alcuni.
Mi piacerebbe, per una volta, vedere meno sforzi di forecasting, e più tentativi di backcasting.
È un percorso più tortuoso, certo, ma anche più virtuoso.
Alla prossima Ellissi
Valerio
Nella mia reading list
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🫡 Se questa Ellissi ti è piaciuta, falla leggere a qualcuno!
Tra gli strumenti del system thinking (o chiamiamolo come ci pare) il backcasting è tra quelli più "affascinanti". Peccato lo si usi poco e, almeno per la mia esperienza, solo in contesti volenterosi ma distanti dai centri di potere.
o del perché il capitalismo è uno schema ponzi che si mangia tutto, con ossa e pelle di contorno a vantaggio di sempre meno gente, quando invece dovremmo fare il percorso inverso