L'AI generativa farà la fine di Clubhouse?
Non stiamo riuscendo a capire se l'intelligenza artificiale sia un prodotto o una funzione. E se fosse... entrambe?
Ciao,
e ben ritrovat* su Ellissi!
A supportare la newsletter di oggi è la New Media Academy, la nuovissima scuola di formazione lanciata da Chora e Will di cui sarò uno dei docenti.
Piccolo reminder che il mio libro, «Riavviare il sistema. Come abbiamo rotto Internet e perché tocca a noi riaggiustarla», è sempre qui ad aspettarvi.
A proposito: stasera alle 19.00 lo presenterò a Modena, nella sede di DIG in via Santa Chiara 14, in compagnia di Giulia Paganelli. Se sei in zona, vediamoci!
Buona lettura
Valerio
Il dilemma fondamentale dell'AI
Dalla nascita di ChatGPT sembra passata una vita.
Eppure il popolare strumento di AI generativa esiste da appena un anno e mezzo, e cioè dal 30 novembre 2022.
A soli cinque giorni dal lancio il servizio raggiunse il suo primo milione di utenti: per tagliare lo stesso traguardo, Netflix ci mise più di 3 anni.
A febbraio 2023 gli utenti mensili erano già oltre 100 milioni — un fatto storico, che rese ChatGPT l’app consumer a più rapido tasso di crescita della storia.
Oggi, nonostante l’AI sia ormai diventato il tema tech più dibattuto del decennio in corso, non abbiamo ancora trovato la risposta giusta a una domanda importante.
Ovvero, questa:
L’intelligenza artificiale è un prodotto oppure una funzione?
A prima vista potrebbe sembrare una questione banale o superflua.
Eppure, come ha scoperto chi se l’è già posta, ci costringe a interrogarci sul presente e sul futuro di questa tecnologia.
Intanto proviamo a fare chiarezza, e capire quale sia la differenza tra «prodotto» e «funzione» in tecnologia.
Per prodotto (product) si intende, solitamente, un oggetto o sistema tecnologico che può essere commercializzato. Il Web è un prodotto, così come le app, gli smartphone, i servizi antivirus e i provider e-mail.
Per funzione (feature) intendiamo invece una caratteristica distintiva, un attributo che svolge una specifica azione e che, di solito, nasce per risolvere uno specifico problema.
La maggior parte dei prodotti sono composti da una vasta quantità di diverse feature.
Ora cerchiamo di capire la differenza tra i due approcci quando si parla di AI — e di AI generativa nello specifico.
L’AI come prodotto
L’interfaccia di ChatGPT è piuttosto banale: a renderla speciale è l’intelligenza artificiale che la alimenta.
In questo caso, l’AI rappresenta un asset fondamentale e imprescindibile senza il quale il servizio dell’azienda di Sam Altman non ha praticamente valore.
Lo stesso si può dire dei device AI-powered lanciati nell’ultimo anno, come Humane Pin e Rabbit R1.
Il 99% della value proposition di queste simpatiche “scatolette” è determinato dal large language model che li alimenta (il che può diventare un fattore di rischio notevole).
Insomma, quando l’AI è la funzione principale e fondamentale di uno strumento, possiamo parlare di AI come prodotto.
In questo caso, ciò che viene venduto al cliente è l’accesso all’intelligenza artificiale stessa. Ben più del “pacchetto” - fisico o virtuale che sia - che la contiene.
L’AI come funzione
Due settimane fa Apple ha presentato la sua «Apple Intelligence».
Una serie di servizi che uniscono machine learning e capacità generative e che si integrano nei prodotti esistenti dell’azienda di Cupertino, al fine di migliorarne le capacità.
Per Apple, l’AI è una funzione, che si estende attraverso tutti i device della mela. Non un prodotto a sé stante, dunque, ma qualcosa che collabora con l’esistente.
Interessante è anche il modello ibrido scelto dall’azienda guidata da Tim Cook.
Da una parte, la Apple Intelligence si baserà su LLM proprietari — che però sulla carta sono piuttosto modesti: al momento sono stati allenati con 3 miliardi di parametri, una cifra bassa se paragonata ai 175 miliardi del “vecchio” ChatGPT-3. Tuttavia, ha controbattuto Apple, questi modelli hanno il vantaggio di essere più veloci e più rispettosi della privacy degli utenti.
Dall’altra parte, l’azienda di Cupertino ha anche stretto un accordo con la stessa OpenAI: proporrà ai suoi clienti un’integrazione nativa con ChatGPT che vedrà la luce sulle nuove versioni di iOS.
Quando non sarà soddisfatto dalla Apple Intelligence, in pratica, l’utente potrà “richiamare” la tecnologia proprietaria di Microsoft.
Curiose anche le modalità dell’accordo che, almeno per ora, pare più simile a un reciproco scambio di favori: Apple non darà soldi a OpenAI; OpenAI non darà soldi Apple.
L’azienda di Cupertino «pagherà in visibilità», ha sintetizzato il giornalista Bruno Ruffilli su Repubblica.
Intanto, però, si vocifera che Apple stia parlando con Meta per sviluppare un modello concorrente a ChatGPT, cosa che pone seri dubbi rispetto alla durata della partnership con OpenAI.
E quindi: prodotto o funzione?
La verità, probabilmente, è che questa sia ancora una fase di evoluzione.
Attualmente ci rendiamo conto delle potenzialità dell’intelligenza artificiale soprattutto quando la usiamo come un prodotto a sé stante, o all’interno di un giardino recintato e fortemente AI-centrico come ChatGPT. Quando la vediamo in azione.
In realtà, però, l’AI diventerà più efficace tanto più si integrerà nei prodotti che già usiamo, facendoli funzionare meglio.
Possiamo ipotizzare che, a tendere, l’AI sarà sempre più «funzione» e sempre meno «prodotto».
Ma quando l’AI quindi si diffonderà ovunque, permeando tutti i servizi che usiamo, sapremmo ancora distinguerla, riconoscerla e apprezzarla?
Il rischio delle «funzioni» che ci vengono vendute come «prodotti» è che il loro valore percepito scenda rapidamente, a volte arrivando vicino allo zero.
Pensiamo a Clubhouse, per esempio. Il social audio, che per una stagione fu il prodotto tech del momento, in poco tempo venne cannibalizzato: altre piattaforme copiarono il suo modello (da Spotify Live a Twitter Spaces) e lo replicarono in poche settimane, rendendo di fatto inutile l’esistenza stessa del nuovo social. Clubhouse - si capì in fretta - non era veramente un product, ma una feature.
Una traiettoria simile potrebbe toccare anche all’AI nel prossimo futuro.
Così come tutti i social hanno oggi le proprie versioni dei reel e delle stories, è probabile che a breve tutti i software e gli hardware che usiamo avranno le loro componenti di intelligenza artificiale generativa.
La vera linea di demarcazione, a quel punto, risiederà nelle capacità di calcolo e di potenza dei large language model che alimenteranno queste macchine.
Chi sarà in grado di sviluppare quello migliore? Chi sarà capace di farne percepire in maniera continuativa il valore ai propri utenti? E chi di difenderlo dalle imitazioni?
Ci troviamo davanti a una battaglia di posizione ma anche filosofica, ricca di incertezze.
Se OpenAI finisse per vendere o distribuire ChatGPT a chiunque - come sta già facendo, del resto - guadagnerebbe moltissimo nel breve, ma alla lunga il suo prodotto di punta rischierebbe di diventare soltanto una “funzione nei prodotti degli altri”.
Non più distintiva né distinguibile, e a quel punto, forse, più facile da rimpiazzare.
Alla prossima Ellissi
Valerio
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🟡 È giunto il momento di capire se sono rimasti ancora degli umani su Internet.
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Clubhouse è un prodotto/Social la cui tecnologia era abbastanza di basso livello. Quindi non sono molto d'accordo con il paragone. L'AI è una tecnologia.
ChatGPT è un prodotto che si avvale di un tecnologia rivoluzionaria (AI) ma, in quanto prodotto, avrà un ciclo di vita. Se si vede l'AI come sviluppo di algoritmi e LMM da mettere a disposizione a terzi come servizi, si apre un business trasversale che già in tanti stanno percorrendo e potenzialmente non ha limiti, se non nelle infrastrutture che devono gestire la potenza di calcolo.
MA NON POTRESTI USARE PAROLE IN ITALIANO AL POSTO DI QUELLE INGLESI CHE IN GRAN PARTE NON CAPISCO? O AKMENO LA TRADUZIONE