La stanchezza dei supereroi
L’effetto nascosto di cui pochi parlano quando parlano della «apocalisse» del giornalismo.
Ciao,
manca sempre meno all’uscita di «Riavviare il sistema», il libro che ho scritto per Chiarelettere e che si interroga sul presente e il futuro di questa meravigliosa e tribolata cosa che è Internet.
Dal 19 marzo sarà disponibile ovunque, ma è già possibile preordinarlo su IBS, Amazon o nella vostra libreria di fiducia, così potrai riceverlo a casa fresco (o caldo? forse tiepido!) di stampa.
Oggi su Ellissi parlo di quelli che sembrano avere perso i superpoteri, e di altri che avrebbero bisogno di riconquistarli.
Buona lettura!
Valerio
La stanchezza dei supereroi
È chiaro a tutti che Disney non stia attraversando il momento migliore della sua storia.
I suoi margini di profitto sono in calo da tempo, e qualche mese fa le sue azioni sono scese ai minimi da un decennio.
Disney+, la piattaforma di streaming di cui è proprietaria, ha perso 1.3 milioni di abbonati nell’ultimo trimestre dell’anno scorso.
Anche se le cose ora sembrano in leggera ripresa, Bob Iger, il ceo rientrato in sella alla fine del 2022, ha ammesso di avere tagliato segretamente «alcuni progetti in cui non credevamo più», compiendo «scelte dolorose».
Iger non ha detto pubblicamente quali siano stati i titoli cancellati.
Ma il riferimento potrebbe essere ad alcuni nuovi film targati Marvel, considerato che l’ultimo della famiglia - The Marvels, uscito a novembre - ha fatto registrare nel peggior risultato al botteghino dal 2008, ovvero dai tempi de L’incredibile Hulk.
In casa Disney le saghe dedicate ai supereroi, così come quelle di fantascienza e animazione, sono da sempre mucche dal latte infinito.
Molto del successo del gruppo è dipeso proprio da prodotti come Black Panther, gli Avengers, e Spider-Man.
Oggi però i grandi fasti di un tempo sembrano essersi allontanati.
Non c’erano storie di supereroi sul podio dei film a più alto incasso del 2022, né su quello del 2023. Altri titoli Marvel come Doctor Strange nel Multiverso della Follia, Eternals e Thor: Love and Thunder sono stati discreti flop.
Stesso discorso per DC Films, la principale competitor di Disney. I suoi Shazam! Furia degli dei (2022), The Flash (2022), Aquaman e il regno perduto (2023) hanno avuto tutti risultati inferiori alle attese, e spesso non sono riusciti a ripagare i mastodontici costi di produzione.
Molti analisti hanno parlato di una crescente superhero fatigue, una stanchezza di fondo, un “disinnamoramento” che il pubblico starebbe accusando rispetto ai personaggi coi superpoteri e al loro potenziale attrattivo.
Qualcuno l’ha definita «una crisi di mezza età per il genere».
Una possibilità, dunque, è che ci stiamo stufando dei supereroi.
Ma c’è un’altra ipotesi che circola online tra critici cinematografici e reporter che si occupano dell’industria dello spettacolo, molto più diretta della precedente, e cioè questa:
Non è che semplicemente i film con i supereroi sono diventati più brutti?
La fatigue insomma esisterebbe non tanto tra chi i film li vede, quanto piuttosto tra chi i film li crea.
Le buone idee del resto non sono infinite, e il grande successo dei superhero movie nell’ultimo decennio, oltre ad avere fatto impennare l’offerta, ha anche imposto più pressione agli autori e agli sceneggiatori, costringendoli a sacrificare parte della propria creatività nel tentativo di accelerare le uscite.
Come risultato i supereroi di oggi sarebbero più mediocri, un livello sotto rispetto a chi li ha preceduti. Dei sub-eroi.
Bad movie fatigue?
Nel mercato dei media, solitamente, la competizione virtuosa è un fattore positivo. Per conquistare l’attenzione delle persone serve qualità.
Quando il livello qualitativo medio si alza, si innesca un meccanismo positivo. La barra si alza per tutti.
Quando il livello qualitativo medio si abbassa, invece, l’ansia dei volumi e della sopravvivenza crea una spirale di mediocrità che fa disinnamorare il pubblico.
Forse non è una coincidenza che gli incassi al botteghino abbiano iniziato a calare quando la qualità è diminuita.
La fatigue sarebbe dunque conseguenza, e non causa, della crisi dei supereroi. «Non c’è una superhero fatigue, ma una bad movie fatigue», ha scritto un utente su Reddit.
Anche Bob Iger sembra sposare questa teoria.
«Build it great and they will come», ha rilanciato il 73enne ceo di Disney qualche giorno fa, spiegando come il cinema dei supereroi stia pagando l’assenza di un prodotto cinematografico davvero grandioso ed eccitante, in grado di far correre le persone al cinema come avveniva in passato.
I giornali e la competizione “buona”
Tutto questo ragionamento si può applicare anche al giornalismo, che a differenza del cinema e della musica è un settore in contrazione.
Recentemente c’è chi ha scomodato termini catastrofistici, come apocalisse ed estinzione, per descrivere il momento che stanno vivendo attualmente le testate (americane e non solo).
Forse è esagerato, ma è pur vero che a problemi economici e strutturali di vecchia data si sono aggiunti nuovi spauracchi tecnologici.
Dal crescente disinteresse dei social per le news alla trasformazione dei motori di ricerca in “motori di risposta” — strumenti che usano l’AI per leggere e riassumere Internet al posto nostro (come Arc e Perplexity) e che fungeranno sempre più da intermediari dell’informazione.
Per tutte queste ragioni il prossimo futuro per i giornali richiederà una navigazione a vista. Diminuiranno ancora gli investimenti complessivi, e temo che si preferirà il “qualcosina subito” allo sviluppo di soluzioni più durature.
Eppure servirebbe l’esatto contrario: l’ambizione e il coraggio di essere migliori.
Avremmo bisogno di mercati ad alta competitività, in grado di spingere il gioco dei media al rialzo, di stimolare l’innovazione e la qualità dei contenuti (funziona: lo confermano anche diversi studi e ricerche).
Servirebbe qualcuno che abbia i mezzi e la sfrontatezza per dire: Build it great and they will come.
Ma temo che sia una missione impossibile o quasi.
A meno che non nascano nuovi supereroi.
Alla prossima Ellissi
Valerio
PS. Ultimamente nei media si parla molto di subscription fatigue — il fatto che le persone non vogliano più abbonarsi come un tempo.
Anche qui, però, dovremmo formulare ipotesi sincere sul perché di questa stanchezza: ci sono troppi abbonamenti tra cui barcamenarsi, oppure semplicemente è l’appeal del giornalismo a essere troppo basso?
Io credo che la maggior parte dei lettori si stia ponendo una domanda semplice, per quanto dolorosa. Ovvero: «Questa informazione vale davvero i miei soldi?».
Nella mia reading list
🟡 Il nuovo libro di Kara Swisher ha un grosso problema con lo spam generato dall’intelligenza artificiale.
🟡 Le difficoltà di Jaggernaut, il media che voleva rivoluzionare l’informazione in Asia Meridionale.
🟡 Come sono cambiati i nostri diari personali da quando si sono trasferiti nel cloud.
🟡 La drill è una forma di giornalismo? La Columbia Journalism Review pensa di sì.
🟡 EA Sports s’è comprata i diritti di oltre 10.000 giocatori di football americano ancora al college. A seicento dollari l’uno.
🟡 Wikipedia non parla abbastanza di strade? Queste persone ne sono convinte, e allora ne hanno costruita una tutta loro (di enciclopedia, non di strada).
🟡 Di podcast sull’AI ce ne sono forse troppi, ma questo del Guardian merita davvero.
🟡 E infine, la censura del rumore.
Sono un gran fan dei supereroi (comprai il primo fumetto di spiderman nel '88) ma soprattutto perché ho una community che si chiama "Eroi Digitali" grazie Valerio.. le grafiche della newsletter sono fantastiche