La fine del traffico
Che impatto avranno le AI sull’editoria online nell'era degli “zero click”?
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Buona lettura!
v.
La fine del traffico
C’era un tempo in cui i motori di ricerca erano soltanto motori di ricerca.
Scraper professionisti di internet, aggregatori intelligenti di link.
Tutto iniziò a cambiare qualche anno fa, nel 2014, quando Google introdusse nel proprio sistema gli snippet, brevi estratti testuali in grado di offrirci le informazioni che cerchiamo direttamente nella pagina dei risultati.
Fu l’inizio di un grande ribaltamento: i motori di ricerca diventarono motori di risposta, in grado di succhiare contenuto rilevante dalle pagine web e di fornircelo in un click senza costringerci a uscire dalla piattaforma.
Dieci anni più tardi, nel 2024, questa trasformazione potrebbe completarsi.
Con l’integrazione dell’AI, infatti, nascono i motori di creazione, capaci di fornirci non solo risposte ‘pescate’ qua e là, ma anche analisi e approfondimenti generate apposta per noi.
Siamo solo all’inizio, e gli AI search engine sono già in grado di spiegarci nei dettagli un argomento di attualità, di prepararci le immagini e i testi che ci servono per una presentazione di lavoro, di paragonare set di dati complessi e pure di inventare un menu per una cena con gli amici a base di verdure di stagione.
Ma se il nuovo paradigma è quello degli zero click, una domanda sorge spontanea: che fine farà tutto il traffico che i motori di ricerca generano per i siti web?
E ancora, quale effetto avranno le AI generative non solo sulla ricerca, quanto piuttosto sull’infrastruttura stessa di internet, basata in larga parte sugli introiti pubblicitari?
La search, storicamente, rappresenta infatti la principale fonte di visite per giornali, magazine e blog — tutti player che probabilmente, nel giro dei prossimi due anni, vedranno diminuire la quantità di visitatori proveniente dai motori di ricerca.
Una curva discendente che avrà inevitabili ripercussioni sul loro modello di business. Meno traffico significa infatti meno guadagni dalla pubblicità, e di conseguenza meno soldi da investire nella produzione di contenuti.
Un bel casino, insomma.
Read more, addio
Se hai avuto modo di provarlo, sai già che il nuovo Bing ha la buona abitudine di citare le fonti delle proprie informazioni (ok dai, almeno in parte).
Scorrendo con il tuo mouse sulle note nel testo generato, vedrai apparire un link su cui puoi cliccare, e atterrerai sul sito da cui l’informazione originaria è stata ricavata.
Tuttavia, difficilmente un’interfaccia simile potrà garantire quantità di traffico paragonabili a quelle cui siamo storicamente abituati dai motori di ricerca.
Del resto, l’intera premessa dei nuovi motori di creazione risiede nella loro capacità di offrire agli utenti un prodotto finale soddisfacente e 'sufficiente’, generato estraendo, condensando e riassumendo informazioni recuperate altrove.
L’obiettivo di queste interfacce sarà sempre più simile a quello delle piattaforme social di oggi: e cioè mantenere gli utenti al proprio interno, riducendo al minimo la necessità di ‘leggere di più’ e di uscire fuori dal recinto digitale.
Questo causerà più di un grattacapo agli editori, a cui non verranno certo in aiuto i social stessi, sempre meno traffic driver verso i siti esterni (rip, Facebook) e sempre più concentrati sul monetizzare l’attenzione e la relazione degli utenti all’interno dei loro scroll infiniti.
E quindi, siamo arrivati alla fine del traffico — e di conseguenza del modello pubblicitario, che per tre decenni ha reso internet aperto, accessibile e globale?
Un circolo virtuoso
La speranza è che i motori di creazione siano consapevoli che proteggere le loro fonti, e renderle economicamente sostenibili, significhi proteggere sé stessi.
In primo luogo perché Google basa una buona parte del proprio revenue model sull’interscambio di informazioni commerciali con piattaforme terze attraverso i cookie, che a loro volta rendono più efficace la delivery pubblicitaria sul motore di ricerca.
In secondo luogo, perché senza il contenuto prodotto da redazioni e content creator professionisti, senza libri ed enciclopedie online, senza database fotografici di qualità, l’AI non avrebbe la materia prima su cui basare il proprio processo di generazione.
Senza un’informazione accurata, tempestiva e verificata, infatti, le AI generano testi pieni di errori, incoerenze e falsità.
Meno soldi per gli editori significa, dunque, una diminuzione della qualità generale dei dataset di partenza — e, di conseguenza, una minore efficacia dei nuovi modelli generativi.
In questo senso innescare un circolo virtuoso di cooperazione, anziché farsi la guerra, può essere negli interessi di tutti.
Anche volendo restare ottimisti, però, è probabile che il nuovo scenario avrà impatti macroscopici sui modelli produttivi e di business degli editori.
Questi ultimo saranno costretti a reinventarsi per l’ennesima volta, a partire dalle proprie strutture organizzative e dal rapporto con le proprie audience.
Se gli snippet hanno ucciso lentamente tutto il contenuto SEO-driven più becero (dagli articoli del meteo a quelli che riportano gli orari delle partite di calcio, così come altre simili informazioni-commodity), i nuovi motori di creazione fagociteranno tutto il contenuto a basso valore aggiunto.
La sfida si giocherà, secondo me, su due direttrici principali.
La prima è quella del copyright: gli editori chiederanno alle AI di pagare i contenuti che utilizzano per generare le loro creazioni (CNN e WSJ, per esempio, sono già pronte a battagliare), anche e soprattutto per quelli protetti da paywall.
La seconda è quella della qualità: per generare traffico diretto e convincere i lettori a visitare direttamente i propri siti, gli editori dovranno capitalizzare il divario ‘umano’ che le AI non possono ancora colmare. Dovranno diventare a loro volta in grado di creare esperienze digitali ‘contenitrici’ che massimizzino il valore generato dagli utenti sulle pagine.
Potrebbe essere l’inizio di una nuova era. E non è detto che sarà peggiore di quella che ci lasciamo alle spalle.
Alla prossima Ellissi
Valerio
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🟡 Se il tema ti interessa, Alberto ha avviato un corso (insieme a Mafe de Baggis) che si chiama “Pronto Soccorso AI” — utile per capire come le AI possano diventare uno strumento di lavoro per chi scrive. Ci si iscrive qui.
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🟡 E infine, il tanto atteso rilancio del magazine di Playboy. Il cui obiettivo è ora competere con OnlyFans.
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Visione direi eccessivamente ottimista a questo giro, voglio proprio vedere quanta cooperazione ci sarà tra editori e aziende. Nel frattempo continuiamo a testare gratuitamente prodotti di dubbia qualità di cui non ci è dato sapere la base dei dataset.