La lezione del polpettone e il “content divide”
Una riflessione generata dal film italiano con più remake di sempre.
Ciao, di nuovo insieme!
Sei su Ellissi, la newsletter che ti accompagna alla scoperta del futuro dei media e delle nuove economie del digitale e che è scritta da me, Valerio Bassan.
Se qualche anima gentile te l’ha inoltrata e non vuoi perderti le prossime, iscriviti qui:
Oggi ti parlo di un film italiano di qualche anno fa, di comunità digitali disconnesse e di quanto la cultura locale influisca sulla rilevanza dei contenuti di internet. Sembrano tre storie diverse, ma in realtà è soltanto una.
Bonus: in fondo trovi un sacco di linkini per il weekend.
Buona lettura!
v.
La lezione del polpettone e il “content divide”
Sette amici a cena insieme in un appartamento a Roma, durante un’eclissi di luna.
Gli smartphone di tutti sul tavolo, come parte di un gioco che finisce per mettere a nudo le loro vite segrete.
Una cascata di rivelazioni che accende e fa bruciare la miccia della storia.
Forse ti suona familiare: è la trama di Perfetti Sconosciuti, il film italiano del 2016 diretto da Paolo Genovese.
La storia ruota attorno alla relazione tra un gruppo di amici (tre coppie e un single) che, durante una rimpatriata, decide di mettere in atto una sorta di esperimento sociale: ognuno si impegna a rivelare il contenuto dei messaggi e delle telefonate che riceverà nel corso della serata.
Ovviamente non va a finire bene, e la cena prende una piega piuttosto oscura.
Quando uscì, la pellicola fu un grande successo: incassò oltre 17 milioni al botteghino e vinse diversi premi. Ma Ellissi, come sai, non è una newsletter per cinefili — e infatti non è per questo che ho deciso di parlartene.
L’aspetto intrigante è che Perfetti Sconosciuti vanta un primato unico: è il film ha generato il maggiore numero di remake della storia della cinema, addirittura 25. Dalla Grecia al Giappone, passando per Armenia, Islanda, Libano e Vietnam.
Il motivo del successo globale del film si può spiegare in modo semplice. Il gioco si svolge in una casa, tra bicchieri di vino, gnocchi, polpettone e tiramisù. Si parla di relazioni incasinate, tradimenti e segreti.
La sceneggiatura, insomma, contiene un messaggio che funziona bene anche a latitudini diverse. È una storia universale, che “parla” a tutti, indipendentemente dal contesto sociale in cui si trovano.
Una domanda però resta: se Perfetti Sconosciuti è davvero così universale, come mai non è stato semplicemente tradotto o doppiato, come succede alla maggior parte dei film?
Perché c’è stato bisogno di rifarlo per ben 25 volte, reclutando 25 cast diversi e coinvolgendo 25 registi?
Il senso del polpettone
La risposta a queste domande sta nelle pieghe del copione. Anzi, dei copioni.
Nella versione in arabo, al posto del polpettone e degli gnocchi, c’è il kibbeh di zucca.
In quella coreana, anziché Whatsapp si usa KakaoTalk, l’app di messaggistica più diffusa nel paese asiatico.
In quella russa - che si svolge in una casa di campagna e dura una giornata intera - uno degli ospiti imbraccia una chitarra e intona una canzone pop di un cantante locale per alzare il morale della comitiva.
In quella danese, è una donna (anziché un uomo) a rivelare la propria omossessualità ai commensali.
Ogni remake, insomma, ha riadattato leggermente la sceneggiatura per riflettere usi, costumi e sensibilità culturale del luogo in cui si svolge.
Queste traslazioni narrative non sono soltanto un esercizio di stile: aiutano le persone a riconoscersi nei personaggi del film — lo rendono, come dicono in America, relatable al grande pubblico.
Anche il finale cambia spesso; quello francese è più agrodolce di quello italiano, quello russo è permeato da un forte senso di redenzione.
E se guardiamo al modo in cui è stato tradotto il titolo nei vari paesi, possiamo capire ancora meglio l’approccio che culture diverse hanno avuto a un film di questo tipo.
La pellicola è stata denominata Il gioco in Francia, Un estraneo in tasca in Turchia, Buon anno nuovo! in Ungheria, Connessione in vivavoce in Russia, Segreto perfetto in Germania. I cinesi ci sono andati giù pesante, intitolandolo Kill Mobile: la punchline del trailer spiega che “il cellulare è come un coltello, affilato abbastanza da perforare il tuo cuore”. Urca.
Persino le reazioni al film sono state molto varie.
La versione in arabo, per esempio, ha fatto incazzare gli egiziani, cui non è andato giù né il ruolo provocante interpretato dall’attrice Mona Zaki, né il coming out di uno dei commensali.
Le autorità locali hanno accusato Netflix MENA (che ha prodotto il film) di “promuovere un’agenda politica” a favore dei diritti LGBTQ+ — e il film, che pure ha avuto un enorme successo in tutto il Medio Oriente, è stato a più riprese bandito dalle piattaforme.
Una masterclass culturale
La storia del successo di Perfetti Sconosciuti nel mondo mi ha fatto pensare a quanto frequentemente, nei media, sottovalutiamo l’importanza di adattare i nostri contenuti al contesto sociale delle persone cui ci rivolgiamo.
Se le battute sul vino biodinamico presenti nella versione italiana del film fossero rimaste anche in quelle internazionali, in pochissimi le avrebbero colte. Allo stesso modo, noi non possiamo apprezzare appieno il senso della canzone e del ruolo che questa ricopre nel remake russo del film.
Raramente ci accorgiamo che, se vogliamo essere capiti fino in fondo, dobbiamo essere in grado di assimilare - nel giornalismo che produciamo - lo sguardo culturale di chi lo fruisce, senza condiscendenza o pregiudizio.
Da sempre infatti le persone apprezzano i contenuti che le fanno sentire parte di una comunità, fisica o digitale che sia.
Troppo spesso le redazioni generaliste riflettono il luogo, la cultura, il linguaggio, l’etnia e lo stato sociale di chi le popola — e finiscono per dimenticarsi delle sfumature delle persone che dovrebbero consumare l’informazione.
Questa tendenza è stata acuita, negli ultimi anni, dal progressivo processo di internazionalizzazione che molte media company hanno intrapreso, favorendo la traduzione di contenuti dalle redazioni estere a discapito della produzione di contenuti originali.
È successo anche a me in passato, e ne ho visto in prima persona le conseguenze: quando abbiamo iniziato a tradurre articoli e video prodotti negli altri paesi sacrificando il contenuto localmente rilevante, l’engagement medio degli utenti è sceso drasticamente.
Il problema del content divide
C’è anche un altro aspetto interessante cui la vicenda di Perfetti Sconosciuti mi ha fatto pensare: quello del content divide.
Se il più celebre digital divide indica le disparità di accesso alla rete, il content divide segna la difficoltà, per alcune comunità o gruppi sociali, di trovare, produrre o distribuire contenuti che siano davvero rilevanti per loro su internet.
Tra i fattori che contribuiscono alla creazione del content divide ci sono la ricchezza, la competenza o la capacità di accesso ai mezzi di produzione o di distribuzione digitale.
Per queste comunità risulta difficile (se non impossibile) trovare online contenuti adeguati al loro contesto socio-culturale o alle loro specificità linguistiche. Per loro internet è molto meno utile, rilevante e relatable che per noi.
Prendi Wikipedia, che noi usiamo tutti i giorni e ormai tendiamo a dare per scontata. Non è così è per tutti: delle oltre 7000 lingue parlate nel mondo ogni giorno, solo 300 sono rappresentate sull’enciclopedia online. Per gli altri, quel tipo di sapere risulta inaccessibile.
Il content divide acuisce il digital divide: è stato infatti dimostrato a più riprese l’accesso alla rete vada di pari passo con la disponibilità di “contenuto locale”, ovvero di media che abbiano uno specifico valore per quelle comunità.
Quando troviamo online qualcosa di rilevante per noi, tendiamo a digitalizzarci più rapidamente. Viceversa, quando internet “non ci parla” o “non ci rappresenta”, fatichiamo a capirne l’utilità, e saremo meno spinti a usufruire del patrimonio di conoscenza che diffonde.
Concludendo…
La produzione culturale su internet vive e prospera di una ricchezza sotterranea, di cui a volte è difficile comprendere e apprezzare la grandezza: milioni di sottoculture agiscono nelle pieghe dei copioni della rete condividendo linguaggi, metafore e unicità.
Nei media e nel giornalismo, così come nell’arte, tendiamo talvolta a ignorare tutte queste sfumature, prediligendo la produzione di contenuti one-size-fits-all.
Ma la costruzione del rapporto di fiducia tra content producer e content consumer richiede spesso uno sforzo di adattamento e di empatia.
Comprendere gli user needs è vitale per rigenerare la relazione tra i media e le loro audience.
Certo, sarebbe sicuramente stato più economico e scalabile doppiare Perfetti Sconosciuti in 25 lingue, anziché riadattarlo alle specificità di ogni contesto locale, ma il film non avrebbe avuto lo stesso successo internazionale.
Quando trattiamo le audience come delle “perfette sconosciute”, possiamo magari risparmiare denaro e risorse, ma il nostro messaggio non sarà compreso appieno.
E ci sarà sempre un content divide che ci separerà dal pubblico che stiamo cercando di raggiungere.
Alla prossima Ellissi
Valerio
PS. Se per la prossima mezz’ora non hai granché da fare, qui puoi vedere i trailer di tante versioni internazionali di Perfetti Sconosciuti.
Nella mia reading list
🟡 Non è ancora sicuro, ma l’abbonamento a ChatGPT potrebbe costare 42 dollari al mese.
🟡 Una cosa invece è certa: Nick Cave non si abbonerà.
🟡 Ma la vera domanda è un’altra. Una volta che il suo servizio più famoso diventerà a pagamento, OpenAI la smetterà di sfruttare i lavoratori in Kenya?
🟡 Intanto, in Nigeria, i partiti politici finanziano gli influencer di nascosto per racimolare voti e consensi.
🟡 Nonostante questo, qualcuno si chiede se ci stiamo preoccupando troppo della disinformazione.
🟡 Ma qualcuno li legge poi davvero tutti quei report accademici?
🟡 Reddit ha assunto il suo primo Chief Revenue Officer.
🟡 Gli amici di Slow News hanno un nuovo sito, molto bello.
🟡 Uppa, il magazine per i genitori, ha lanciato la sua app (anch’essa super).
🟡 Un’inchiesta sulla cronica mancanza di diversità nel giornalismo italiano.
🟡 Una riflessione sul lascito di Aaron Schwartz.
🟡 Un viaggio nell’angolo del metaverso dove ci si trova per elaborare un lutto, anonimamente.
🟡 Stiamo affondando nella palude delle piattaforme? Un nuovo libro di NOT, a firma del maestro Geert Lovink, si pone proprio questa domanda.
🟡 La guerra del copyright nell’AI generativa è cominciata.
🟡 Dovremmo oscurare le nostre abitazioni su Google Maps?
🟡 I talebani hanno la spunta blu.
🟡 Io, invece, sarò al prossimo We Make Future festival, a Rimini dal 15 al 17 giugno.
🟡 Per chiudere: questa sì che è una buonuscita.
🫡 Se questa newsletter ti piace girala a un paio di amic* a cui pensi potrebbe piacere. Per me è un grande sostegno e a te non costa nulla. Alla prossima!