Quei finali tutti uguali
Tutti i finali hanno qualcosa in comune.
Quelli tristi. Quelli felici. Quelli auto-conclusivi. E anche quelli che ci lasciano con dubbi irrisolti e domande senza risposta.
Prendiamo tre fallimenti recenti nel mondo dei media e del tech: Ello, un social network diverso dagli altri; Pitchfork, una storica rivista musicale; e Artifact, un’app che prometteva di aiutarci a scovare notizie più interessanti.
Realtà che sono arrivate a fine corsa con motivazioni e modalità diverse tra loro, ma le cui traiettorie hanno dei tratti in comune.
Ello era nato nel 2014 come un’alternativa ai social network più commerciali, soprattutto Facebook.
Prometteva di rifuggire per sempre la pubblicità e i modelli di business basati sullo sfruttamento dei dati degli utenti, e si proclamava in favore della privacy.
Il suo logo iper-minimale era uno smile nero, senza occhi.
Dopo un inizio promettente e tante aspettative, è stato risucchiato in una travagliata serie di vicende, e poi è finito nel dimenticatoio.
Nel 2018 fu venduto a un marketplace per grafici emergenti, mentre i suoi fondatori lasciavano silenziosamente la barca.
E nel 2023 è stato definitivamente chiuso, con poche centinaia di migliaia di utenti attivi. Il mio account è ancora lì, da qualche parte.
Pitchfork ha tutt’altra storia. Nato come blog nel 1996, è stata per anni la rivista musicale più influente al mondo.
Le sue recensioni affilate erano temute dalle case discografiche, perché influenzavano gli acquisti degli appassionati e potevano decretare il successo o l’insuccesso dei musicisti emergenti.
Poi arrivò l’inizio della crisi, di pari passo con la progressiva piattaformizzazione della produzione culturale, finché nel 2015 la testata fu comprata da Condé Nast.
La perdita di qualità è proseguita di pari passo con la diminuzione delle risorse a disposizione, e con l’emorragia, contemporaneamente causa e conseguenza, dei lettori.
Ora Pitchfork muore per volere del mercato, dei suoi proprietari e di Anna Wintour, che ha licenziato la redazione senza togliersi gli occhiali da sole.
Un declino strutturale e apparentemente inevitabile che, come ha scritto il giornalista Damir Ivic, «è una sconfitta per tutti».
E poi c’è Artifact, durata meno di un anno.
Ideata da due che nel cv hanno scritto «co-fondatori di Instagram», l’app era un aggregatore di articoli giornalistici che usava l’AI per suggerire notizie basate sugli interessi delle persone.
In pratica, Artifact puntava a colmare il vuoto lasciato da Facebook e dal suo disinvestimento sui contenuti d’informazione.
«L’opportunità di mercato non era abbastanza grande per continuare a investirci», ha scritto l’ormai ex amministratore delegato su Medium, spiegando i motivi che hanno portato allo spegnimento anticipato della piattaforma.
Tre storie, un destino
Il tratto comune di questi finali tristi è che si svolgono dinnanzi a un pubblico considerato «troppo piccolo» per continuare a giustificare la sopravvivenza del prodotto.
Eppure, Ello aveva ancora un numero discreto di utenti attivi; nonostante tutto, il sito di Pitchfork veniva visitato da milioni di lettori; e anche Artifact, seppur in pochi mesi, aveva aggregato «un gruppo di utenti fedeli che amava il prodotto».
Il punto è che questo mercato sembra progettato per soffocare la classe media delle iniziative editoriali e tecnologiche.
Sopravvivono solo i progetti più grandi, ed è una perdita enorme. I medi soffrono. E i piccoli? Non parliamone nemmeno.
L’eccessiva finanziarizzazione dell’imprenditoria nel campo dei media e della tecnologia pone troppi soldi nelle mani di chi ha la capacità di raccoglierli, e per questo non è equamente distribuita.
Il risultato? In un’oligarchia con sempre meno governanti, la ghigliottina diventa la soluzione più facile e pronta all’uso.
È un peccato.
Internet era nata come un luogo di luoghi, una piattaforma dove le comunità potevano prosperare indipendentemente dalle loro dimensioni.
Ma la narrazione diffusa della rete come un paradiso delle nicchie è piuttosto parziale, perché sorvola sulla fragilità economica di molti di questi progetti.
Anche i numerosi creator che riescono a sostenersi hanno edificato i loro palazzi su terreni paludosi di proprietà di altri, ovvero delle piattaforme.
E le testate di medie dimensioni che stanno bene sono davvero poche (di una abbiamo parlato di recente).
L’affermarsi della scalabilità a tutti i costi come legge dominante del mercato finisce per spegnere e disincentivare le iniziative che interessano a «pochi» o a «non abbastanza» esseri umani.
Ma «pochi» o «non abbastanza» secondo chi, dopotutto? Non certo secondo chi quei prodotti ancora li usa, li sostiene, li ama. E a farne le spese sono, quasi sempre, gli utenti.
Sarebbe bello che la rete trovasse nuovi modelli di business in grado di dare linfa anche ai progetti che non sono necessariamente per tutti.
Che riuscissimo a smettere di usare le parole «non abbastanza» come se rappresentassero una sentenza definitiva, o che almeno trovassimo loro un significato diverso.
La spinta fagocitante della macrocultura non dovrebbe escludere la possibilità che esistano tante altre microculture, prosperanti ognuna a modo suo.
Anche per questo è importante che iniziamo a sostenere quei progetti che riteniamo importanti. Senza aspettare che qualcun altro lo faccia per noi.
Alla prossima Ellissi
Valerio
Nella mia reading list
🟡 La sorte comune dei miliardari che provano a salvare i media.
🟡 Chiarezza sulla vicenda di Mr. Beast e delle sue views gonfiate su X.
🟡 Il culto della cuteness e i suoi effetti sulla rete.
🟡 Netflix trasmetterà lo sport live: a tutti gli effetti è diventata la nuova TV.
🟡 Viaggio nella community dei superfan di Werner Herzog.
🟡 Google inizia ad avere un bel problema con i contenuti-spazzatura generati con l’AI.
🟡 «Non credo che la gente si renda conto di quanto sarebbe brutto il mondo senza i giornalisti».
🟡 Che suono hanno le parole invisibili?
Da editore di una piccolissima realtà online che si rivolge a un pubblico di nicchia (italiani in UK), comprendo bene quello che dici. Il (falso) mito della scalabilità ha offuscato anche me, fino a quando ho concluso che non è sempre necessario crescere e si puo' anche provare ad andare avanti nel proprio microcosmo cercando di sviluppare un rapporto diretto con i lettori incoraggiandoli a dare il loro sostegno economico.