Giù la Musk. L'era del tecnoinganno
Il potere tecnologico stia serrando i propri ranghi. Siamo pronti per quello che ci attende?
Ciao,
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Oggi parliamo di come sta evolvendo il rapporto tra politica, potere e big tech (spoiler: male).
Grazie a GetResponse per avere sostenuto l’edizione di oggi e il mio lavoro di ricerca e analisi.
Buona lettura!
Valerio
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Giù la Musk
Di solito a Capodanno i giornali italiani non escono. È la regola.
Ma come si dice, ogni regola ha la sua eccezione — e questa risale al 1 gennaio 2000, all’inizio del millennio.
Quel giorno infatti La Repubblica pubblicò un’edizione speciale interamente dedicata al «mondo del futuro»: 48 pagine in cui le firme del giornale cercavano di anticipare che cosa sarebbe cambiato a livello economico, politico e culturale negli anni a venire.
Scriveva nel suo editoriale l’allora direttore Ezio Mauro: «Abbiamo voluto essere presenti per celebrare con i lettori un giorno emblematico nella vicenda individuale e collettiva».
All’interno della sezione dedicata all’innovazione tecnologica, Vita da mouse, campeggiava un commento scritto da un imprenditore americano in ascesa — uno che aveva già dimostrato di sapere come rendere Internet profittevole: il 36enne Jeff Bezos.
Nel suo trafiletto, intitolato «Vinceranno i consumatori», Bezos raccontava come la rete e la new economy avrebbero stravolto gran parte delle dinamiche che avevano caratterizzato il novecento, costringendoci a un rapido adattamento.
Quello che succederà, scriveva nel 2000 il fondatore di Amazon, sarà «una vera rivoluzione epocale, che potrebbe estendersi presto, anche se magari non subito, al mondo della politica e a quello della televisione, rendendo meno indispensabili i network tradizionali e più stretti i legami personali tra eletti e elettori».
Il giornalismo dei cittadini
È passato un quarto di secolo.
Gennaio 2025.
Due miliardari governano gli Stati Uniti: il 78enne Donald Trump e il 53enne Elon Musk, una strana coppia di regnanti a metà tra new e old economy.
Come anticipato da Bezos, la politica e la comunicazione sono cambiate parecchio rispetto al secolo scorso. La disintermediazione causata dalle piattaforme social ha decentralizzato il ruolo dei media tradizionali privilegiando forme più liquide e frammentate di informazione.
Un concetto caro a Musk, che il 6 novembre 2024, dopo la vittoria elettorale di Trump, scriveva sul suo profilo X: «You are the media now».
«𝕏 è il futuro, è il citizen journalism. Fatto dalle persone, per le persone», ha poi ribadito a metà gennaio. «Non come i media tradizionali, che sono controllati da una manciata di direttori».
I media adesso siamo noi, dice Musk. In che senso, adesso?
Il citizen journalism - ovvero la documentazione e la diffusione degli avvenimenti da parte dei cittadini stessi - ha una storia decennale, che parte dalla stampa alternativa degli anni sessanta, attraversa la documentazione video dell’uccisione di JFK e arriva fino al lancio del sito sudcoreano OhMyNews, che nel 2000 divenne forse il primo esempio di piattaforma in cui «ogni cittadino» poteva «diventare un reporter».
Per non parlare dei social media, che negli ultimi due decenni hanno reso chiunque in grado di condividere avvenimenti di attualità a un pubblico più o meno ampio: checché ne dica Musk, insomma, il citizen journalism non è «una novità» né «il futuro».
Il concetto di quinto potere - quello che fu dei blog e della rete intesi come spazi per l’informazione libera, in antitesi con il cosiddetto quarto potere rappresentato dalla stampa tradizionale - viene usato oggi dai governanti come artificio retorico per definire un’alternativa a un non meglio specificato pensiero dominante.
La cosa più surreale, almeno per me, è vedere l’uomo più ricco e potente del mondo appropriarsi di un concetto che nasce dal basso, e soprattutto farlo da un piedistallo social di cui è egli stesso il proprietario e che gli permette di parlare ogni giorno a centinaia di milioni di persone.
Come può Musk - che oggi è l’incarnazione massima del potere costituito - continuare ad alimentare una narrazione alternativa da rivoluzionario, da agitatore, e farla franca?
Intanto lui, proprietario di sei aziende, sembra che stia cominciando a esportare la sua strategia in Europa stringendo accordi con pagine social sensazionalistiche o bomberiste da centinaia di migliaia di follower, nell’intento probabile di indirizzare il dibattito pubblico e preparare un ribaltone politico simile a quello avvenuto in USA (preludio del MEGA, Make Europe Great Again) e mirando alla pancia degli elettori.
Anche qui, nulla di particolarmente nuovo: il vecchio piano propagandistico ideato da Steve Bannon quindici anni fa non è mai tramontato, e anzi è più attuale che mai.
Il giornalismo dei cittadini sì, ma al servizio dei potenti.
Il vero volto
Alcune delle facce più note della bestia messa in piedi da Musk e Trump, come Tucker Carlson e Joe Rogan, erano in prima fila all’inauguration day del 20 gennaio scorso — a ulteriore dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, di come la mediasfera conservatrice e reazionaria ricopra un ruolo centrale all’interno del progetto complessivo.
In prima fila a pochi passi da loro, ancora più in vista, c’erano gli amministratori delegati delle maggiori aziende tecnologiche del pianeta: una scena che a molti ha ricordato l’oligarchia russa, e che sicuramente tradisce il desiderio delle Big Tech di ritagliarsi il proprio spazio d’azione nel nuovo ordine costituito.
L’aria che tira, nonostante quanto dica Rampini, è ben diversa rispetto al 2021, quando sia Bezos sia Zuckerberg avevano deciso di non pubblicare nemmeno un comunicato per augurare buon lavoro a Joe Biden. Oggi regna un’atmosfera diffusa di sottomissione e compiacenza.
Tutto viene a galla, alla fine.
I primi giorni della Musk era hanno fatto definitivamente cadere la maschera delle grandi aziende tecnologiche: non certo forze progressiste operanti per il bene del pianeta e di chi ci vive, come qualcuno ha creduto fin troppo a lungo, ma aziende rette da uomini di potere bisognosi di consolidare e proteggere i propri interessi, anche se questo significa appoggiare un presidente condannato penalmente e dalle innegabili tendenze autoritarie.
Basta osservare le recenti mosse di Zuckerberg per capire la direzione del vento.
Dopo avere abolito il fact-checking sulle sue piattaforme negli Stati Uniti, eliminato i comitati che si occupano di diversità e inclusione a Meta e scelto lo steroidico trumpiano Dana White per il suo consiglio di amministrazione, ha detto che le aziende per progredire oggi hanno bisogno di più «energia mascolina» e «aggressività».
{Una dimostrazione di come Zuckerberg abbia un’idea molto distorta di cosa significhi “mascolinità”. Ricordiamoci sempre che aveva creato l’antenato di Facebook, Facemash, per classificare le «studentesse più hot» del campus di Harvard — una storia che cerca continuamente di riscrivere.}
«Sapevo che un giorno avrei dovuto guardare uomini potenti bruciare il mondo, ma non mi aspettavo che fossero degli sfigati simili», ha scritto Rebecca Shaw sul Guardian.
Falsi amici
Gli oligarchi tech non sono mai stati così pieni di denaro e così poveri di idee.
Forse sarebbe ora che smettessimo di chiamarli con epiteti come «leader visionari» e di affidare loro la costruzione sociale e politica del nostro futuro.
E ora che è caduta la maschera, possiamo vedere chiaramente come questi uomini di mezza età abbiano in realtà una strategia comune.
La competizione tra le aziende che guidano appare sempre più simile a una messinscena. I loro interessi sono sempre più condivisi, espressioni complementari di una medesima struttura di potere che oltrepassa i confini degli stati e il colore dei governi, tendendo all’autoritarismo.
E se come è probabile il controllo delle operations americane di TikTok - “salvate” per ora da Trump con un editto illegale - verrà ceduto a uno dei suoi amici tecnocrati, si creerà una centralizzazione senza precedenti.
Il tutto mentre Musk ci spiega come il mondo dell’informazione sia stato finalmente liberato dal controllo dei potenti e dei media tradizionali e fomenta le folle con un saluto fascista — spiegando che stava solo «mandando il suo cuore alla folla» (forse era un cuore nero?).
Ci sarebbe da ridere, se solo ci fosse qualcosa di cui ridere.
Abbiamo vinto! Ma cosa?
«La tecnologia cambierà la politica», aveva scritto Jeff Bezos il 1 gennaio 2000, nel suo trafiletto intitolato Vinceranno i consumatori.
Io però non sento tutto questo senso di vittoria, e voi?
Sento piuttosto che siamo impotenti e non ancora completamente consapevoli dei rischi cui stiamo andando incontro. Sento che la tecnocrazia sta serrando i propri ranghi, enshittificandoci: le piattaforme dominano i modelli di business, la nostra attenzione, i nostri voti, il nostro tempo.
Ah, quanto vorrei vivere in una linea temporale diversa.
Una in cui la tecnologia fosse al nostro servizio e non a quello del potere.
Una in cui la persona più ricca e influente del mondo non decidesse il significato dell’espressione «pensiero libero» per ciascuno di noi.
Una in cui gli unici saluti romani tollerati fossero questi due: ahò e daje.
Alla prossima Ellissi
Valerio
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Chissà se arriverà mai quell'era lì che descrivi alla fine...
https://www.joanwestenberg.com/clash-power-greed-and-the-fight-for-a-fair-future/