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Oggi - eccezionalmente di giovedì - ti parlo di un nuovo trend che con Sanremo non c’entra, ma forse sotto sotto anche sì.
Per gli amanti e i curiosi dei podcast, c’è anche un codice sconto del 10% per pre-iscriversi alla terza edizione della Chora Academy, che parte a breve.
Buona lettura!
v.
Sai cos’è un deinfluencer?
Si parla molto in questi giorni di deinfluencing.
Questo trend nasce in realtà nel 2015 (ai tempi si chiamava anti-haul) ma è diventato virale di recente su TikTok.
Nei video di deinfluencing, i creator fanno l’opposto di quello che farebbe un influencer canonico: consigliano ai propri follower cosa non acquistare e quali trend non seguire.
Oltre a spingere le persone a riflettere a lungo prima di comprare i prodotti sponsorizzati dagli influencer, li esortano a non cadere vittime dell’hype del marketing social.
A chi li segue, allo stesso tempo, i deinfluencer propongono spesso dei prodotti alternativi, spesso fatti in casa o a minor prezzo.
Negli ultimi giorni, l'hashtag #deinfluencing ha totalizzato più di 112 milioni di visualizzazioni sulla piattaforma di Bytedance.
Ora. Questa tendenza critica, spesso condita da un piglio quasi anti-consumista, può essere pure apprezzabile.
È interessante vedere un gruppo di persone avviare un dibattito sulle modalità, le tecniche e le storture di un certo tipo di influencer marketing, per altro utilizzando gli stessi mezzi e gli stessi canali.
Ma mi viene un dubbio. Non è che questi deinfluencer, alla fine, risultino un po’ troppo simili al sistema che vorrebbero denunciare?
Il sistema e le sue crepe
Sui social, infatti, anche dire chi non siamo o in cosa non crediamo contribuisce a creare il nostro personaggio.
Nell’architettura del tempio-piattaforma, qualsiasi azione e controazione produce lo stesso output, ingrassa gli stessi ingranaggi, alimenta lo stesso modello di business.
I deinfluencer, insomma, agiscono all’interno di un cortocircuito disegnato per essere tale.
“Sui social siamo nervosi e andiamo di fretta”, ha scritto nel suo ultimo libro lo studioso Geert Lovink, “e spesso anche le piattaforme, che sono state progettate per sfruttare queste condizioni umane, fanno lo stesso”.
L’interfaccia di TikTok è stata costruita per capitalizzare la nostra emotività e le nostre reazioni istintive, senza lasciarci il tempo di pensare con troppa lucidità.
È da queste crepe, create ad arte dalle piattaforme, che entrano le stories retroilluminate degli influencer, le loro performance — che devono essere credibili per pochi secondi, quanto basta per entrare nelle conversazioni degli utenti (ma non troppo a lungo, altrimenti significa che qualcosa è andato storto).
Le “soltitudini”
La maggior parte delle piattaforme è stata progettata anche per raggiungere un altro scopo: darci l’illusione della community.
Ciò che sembra unirci, sui social, tende invece a creare sol-titudini: moltitudini solitarie, finte folle composte da tanti individui chiusi ognuno nel suo isolamento, che percepiscono di essere parte di qualcosa senza però esserlo davvero.
Di queste soltitudini non possiamo certo incolpare gli influencer, che semplicemente assumono la forma delle piattaforme che li ospitano.
Quello che succede nel digitale, infatti, è soprattutto il risultato di trend che si sono sviluppati altrove.
Gli influencer hanno causato il crollo della tv, oppure è la tv a non essere più al passo con i bisogni di intrattenimento di oggi?
L’attivismo si è spostato online perché la gente si è improvvisamente impigrita en masse, oppure perché l’attivismo analogico sta scomparendo a prescindere?
Lo dice bene Olivia Yallop nel suo libro Break The Internet quando, parlando della crisi dei millennial, definisce gli influencer come “il prodotto di un ecosistema psicologico […] che risponde ai bisogni emozionali di una generazione ansiosa, atomizzata e alienata”.
Televenditori coi superpoteri
Gli influencer che influenzano davvero si contano sulle dita di una mano.
Certo, ci sono profili che possono indurci ad acquistare un mascara o un maglione anziché un altro, ma troppo spesso sovrastimiamo la loro portata e il loro effetto sulla società.
Bisogna distinguere tra l’hype - quello che Tommaso Guariento definisce “non più un prodotto secondario del capitalismo, ma una sua specifica funzione” - e la realtà. Tra l’influenza reale e la sua iper-narrazione.
Gli influencer sono sostanzialmente atomi di intrattenimento: la maggior parte condivide qualche foto e video di sé e della sua quotidianità, interrompendo sapientemente il flusso con consigli per gli acquisti sponsorizzati dai brand.
Se i social stanno diventando la nuova tv, a me sembra che gli influencer non siano altro che i conduttori del prime time del nuovo piccolo schermo.
Più simili a televenditori carismatici, forse, che a forze in grado di smuovere le masse e le opinioni.
Prima di giudicarli, ricordiamoci sempre che gli influencer sono proprio come noi, ma con più follower: fanno quello che faremmo noi, sbagliano come sbaglieremmo noi.
I loro superpoteri non appartengono a loro, ma alle piattaforme.
E le piattaforme sono templi le cui regole e le cui leggi sono più terrene di quanto siamo spesso indotti a pensare.
Alla prossima Ellissi
Valerio
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Nella mia reading list
🟡 Su TikTok c’è un bottone invisibile che può far diventare virale qualsiasi video.
🟡 Su Twitter ce n’è un altro che attiva la modalità divina.
🟡 La piattaforma di Musk ha pochi abbonati al suo servizio Twitter Blue.
🟡 Il Post mi ha chiesto cosa penso di Webboh.
🟡 Gawker è morto, di nuovo, e la sua ex direttrice prova ad analizzare il perché. Stavolta Hulk Hogan non c’entra.
🟡 Il successo di Ac2ality, spiegato da chi l’ha creato.
🟡 Sapresti indovinare quanto guadagna un creator?
🟡 Il nostro sistema economico è progettato per generare pochi super ricchi?
🟡 Infine: il segreto dell’asfalto millenario.
🫡 Se Ellissi ti piace girala a un paio di persone a cui pensi potrebbe piacere. Per me è un grande sostegno e a te non costa nulla.