Li vuoi quei kiwi d'oro?
Di contenuti digitali tutti uguali, di proprietà intellettuale, e dell'importanza di scoprire un gusto nuovo.
Ciao,
non è venerdì, lo so, ma avevo voglia di scrivere. Quindi eccoci qui!
Sono felice perché il mio libro «Riavviare il sistema. Come abbiamo rotto Internet e perché tocca a noi riaggiustarla» (Chiarelettere) è stato inserito tra i migliori del 2024 da GQ Magazine.
A proposito, se non l’hai ancora letto puoi acquistarne una copia qui, magari da regalare a qualcuno che abbia a cuore il presente e il futuro della tecnologia.
Intanto, grazie a Salesforce per avere sponsorizzato questa edizione di Ellissi. I loro webinar gratuiti per scoprire il mondo degli agenti AI cominciano il 9 dicembre.
Buona lettura!
Valerio
Li vuoi quei kiwi d'oro?
Ieri ho assaggiato per la prima volta un kiwi «SunGold».
A vederlo da fuori sembra come tutti gli altri, ma dentro ha una polpa giallastra, quasi dorata. È molto più dolce del suo gemello verde, e più ricco di vitamine.
A produrlo è un’azienda neozelandese - la Zespri - che ha piantagioni anche in altri paesi, tra cui l’Italia.
Questa variante del kiwi, che sta conquistando fette di mercato importanti, ha una storia interessante.
Il kiwi giallo fu sviluppato per la prima volta da Zespri negli anni ‘90. Tuttavia, è solo a partire dal 2010 che questo frutto ha conquistato una certa popolarità.
Quell’anno, infatti, un’infezione batterica colpì le piantagioni neozelandesi, arrivando a dimezzarne il raccolto — una situazione che poteva compromettere il futuro dell’azienda.
Zespri cercò così di correre ai ripari: creò una nuova variante dorata del kiwi, che non solo sapeva resistere meglio alla malattia, ma aveva anche un gusto migliore.
Il kiwi giallo fu subito molto apprezzato dai clienti, e quello fu l’inizio della sua ascesa nel mercato internazionale: oggi i SunGold si trovano un po’ ovunque nei supermercati, dall’Europa agli Stati Uniti.
Resasi conto del successo del kiwi giallo, la Zespri lo brevettò.
Lo scopo era quello di proteggere il frutto dai potenziali imitatori, attivi soprattutto in Cina — paese in cui l’azienda ha avviato diverse cause legali contro i produttori che cercano di replicare la famigerata “polpa d’oro”.
Una mossa che sta dando risultati: a luglio una corte della provincia del Sichuan ha comminato a tre persone una sanzione di 550.000 yuan (quasi 72.000 euro) e le ha condannate a tre anni e nove mesi di carcere per aver violato la proprietà intellettuale di Zespri.
Un portavoce dell’azienda ha dichiarato che il verdetto «invia un forte messaggio di tolleranza zero per le attività illegali che comportano l'uso contraffatto dei marchi e della proprietà intellettuale di Zespri, nonché per le azioni illegali che danneggiano gli interessi dei consumatori cinesi».
C’è un sottostante velo di ironia nella storia dei kiwi, e nei tentativi di Zespri di fermare i produttori cinesi che cercano di “clonare” il SunGold.
Il frutto infatti nacque proprio in Cina, secoli fa.
Come racconta il sito stesso dell’azienda, i primi semi di kiwi furono prelevati nel 1904 nella valle del fiume Yangtze, dove veniva coltivato da centinaia di anni, da un’insegnante neozelandese di nome Isabel Fraser che si era recata in Cina per incontrare la sorella missionaria.
Non a caso, il nome originale del frutto è Yang Tao o «uva spina cinese», come inizialmente veniva conosciuto all’estero.
I neozelandesi decisero di ribattezzarlo «kiwi» nel 1959, dal nome dell’uccello-simbolo del proprio paese.
Da allora, il frutto si è trasformato nell’icona di export dello stato Oceanico, e Zespri nel suo principale portabandiera agli occhi del mondo.
Oggigiorno, infatti, la multinazionale controlla un terzo del commercio di kiwi sul pianeta.
L’algoritmo kiwi
Come spesso accade nella mia testa, un aneddoto scatena ragionamenti di altro tipo, collegati al mio lavoro.
La storia dei kiwi brevettati mi ha fatto riflettere su quello che avviene nell’industria dei media digitali.
Così come fa Zespri in quello ortofrutticolo, anche il content business oggi è dominato da chi è in grado di ideare e proteggere i propri format di successo e di sfruttarne la popolarità nel medio e lungo periodo.
Siamo nell’era della grande globalizzazione digitale, in cui i contenuti si somigliano sempre di più — schiacciati da algoritmi che non sono finestre aperte sull’altrove, ma presse meccaniche standardizzanti.
In questo ecosistema si scommette sempre meno sulla creatività originale, in favore di ciò che è validato dai dati: per questo il mercato è pieno di sequel, remake o serializzazioni di storie già apprezzate dal pubblico generalista.
Ovviamente, questo pone un forte accento sull’importanza della proprietà intellettuale: un contenuto che garantisce monetizzazione va protetto, registrato, marchiato per gli anni a venire.
Questo vale storicamente per le grandi aziende dei media digitali - le Netflix e le Universal - ma anche, sempre più, anche per i creator.
Con situazioni che possono diventare paradossali, e dare vita a battaglie legali impensabili fino a pochi anni fa.
Pochi mesi fa, la tiktoker che ha reso popolare l’espressione «very demure, very mindful», diventata virale, si è ritrovata al centro di un contenzioso relativo alla registrazione di quella frase.
Lo stesso è accaduto a una «Amazon influencer», accusata da una competitor di imitarla.
L’imitazione consisterebbe nel «recensire i prodotti» in vendita sulla piattaforma di Jeff Bezos all’interno di un «setting minimalista» caratterizzato da «un’estetica neutrale, beige e panna» (giuro).
Ma davvero un creator può brevettare una frase virale, oppure un’atmosfera intangibile, un’estetica, una vibe — reclamarla come propria?
Un conto è detenere i diritti di Superman o di un ritornello di Olivia Rodrigo, un altro è impossessarsi di una frase, di un meme, di un approccio al contenuto, di un tono di voce.
Chi decide e assegna, e in base a quali parametri, la proprietà di un contenuto digitale?
Se dopo un decennio non siamo ancora riusciti a capire se un vestito è «oro e bianco» oppure «nero e blu», saremo davvero in grado di distinguere dove inizia il kiwi giallo e dove finisce quello verde?
I semi e il vento
Tutti traiamo ispirazione dagli altri e copiamo modelli culturali che ci sembrano funzionare. Questo avviene da prima che Internet esistesse.
Quando online riusciamo a trovare il nostro «contenuto dalla polpa d’oro», insomma, è anche grazie ai semi piantati da qualcun altro prima di noi.
È importante proteggere la proprietà di un’idea, verissimo, ma anche riconoscere che la rete è anche un luogo di innata e continua contaminazione, e di ibridazione tra sementi e frutteti diversi.
E poi, a volte, cercare di appropriarsi di qualcosa a tutti i costi è uno spreco di energie: nessuno online si chiede se il seme di un «bel reel» sia germogliato prima in Cina, in Nuova Zelanda, o in Italia. Semplicemente lo consuma e lo apprezza, senza porsi troppe domande.
A volte quindi è meglio usarle, queste energie, per coltivare la nostra creatività senza standardizzarsi troppo. Sviluppare la capacità di non fermarsi alla buccia, e di produrre contenuti che abbiano un sapore sempre nuovo per chi li assaggia.
Del resto, se anche alle persone dessimo tutti i giorni i kiwi più buoni del mondo, dopo un po’ si stancherebbero di quel gusto, e smetterebbero di mangiarli.
Alla prossima Ellissi
Valerio
Scopri con Salesforce i segreti degli Agenti AI
Nel mondo tech si parla sempre di più di “Agenti AI”.
Ma cosa sono? E come funzionano?
In breve, si tratta di software intelligenti in grado di prendere decisioni autonome, eseguire azioni e interagire con le persone.
In azienda possono essere usati per migliorare i processi decisionali, per eseguire azioni complesse e per raggiungere gli obiettivi più rapidamente.
Per aiutarti a capire meglio come funzionano e come puoi usare gli Agenti AI, Salesforce ha organizzato una serie di 11 webinar gratuiti tra il 9 e il 12 dicembre.
Gli incontri - che si terranno online - toccheranno diversi temi: come sfruttare gli agenti AI per vendere prodotti, per assistere i clienti, per il marketing.
Che aspetti? Scopri tutti gli appuntamenti in programma.
Nella mia reading list
🟡 Johnny Harris è il Mr. Beast delle notizie?
🟡 La giornalista anonima che racconta da dentro la condizione delle donne sotto il regime dei talebani in Afghanistan.
🟡 L’effetto della tecnologia sulla nostra capacità di meravigliarci.
🟡 La nostalgia può essere uno strumento utile per aumentare i ricavi dei giornali?
🟡 Viaggio a occhi aperti nel capitalismo della sonnolenza.
🟡 Forse quella di trasferirci su Marte non è proprio una grande idea.
🟡 La crescita dell’intelligenza dell’AI sta già rallentando?
🟡 Scarcerato l’imprenditore che ha fondato Phantom, l’azienda che produceva un telefono criptato usato anche dal cartello di Sinaloa.
In Olanda, dove risiedo in questo momento, ne abbiamo mangiati di verdi con un cuore all'interno rosso..
Se dovessimo brevettare ogni variante di kiwi come proprietaria in poco tempo faremo fallire le più grandi aziende social del mondo.
Immagina la scena: mentre stai scrivendo la newsletter, Substack cancella la parola, tu panzientemente la riscrivi e la vedi di nuovo sparire. Si potrebbe inventare un nuovo genere comico così!!