Ciao,
bello ritrovarti qui, nel calduccio della tua casella di posta. E buon 2023.
Questa è sempre Ellissi, la newsletter che ti accompagna alla scoperta del futuro dei media e delle nuove economie del digitale e che è scritta da me, Valerio Bassan.
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Su Ellissi trovi ogni quindici giorni un breve saggio su un tema che mi ha stimolato nel corso degli ultimi giorni, e una serie di consigli di lettura su media, tecnologia e internet. Vamos!
Internet è gratis. Finché non lo è più.
Il conto alla rovescia m’ha fregato.
E così qualche settimana fa, al minuto 59 e 57 secondi di una call importante, ho ceduto.
Ho acquistato la versione premium di Google One, il servizio di Google che include la possibilità di effettuare videochiamate di gruppo più lunghe su Meet.
Era una necessità che non sapevo di avere — almeno fino a pochi giorni prima.
Il problema, infatti, non si era ancora posto. Dall’inizio della pandemia in avanti, Google Meet ci aveva sempre permesso di effettuare lunghe chiamate di gruppo senza costi aggiuntivi.
Poi, però, uno dei servizi più utilizzati per le call aveva rimesso le cose a posto. Per le chiamate superiori all’ora di durata sarebbe stato di nuovo* necessario pagare.
Così ho deciso di arrendermi (opponendo ben poca resistenza) e di effettuare l’upgrade. Ho acquistato il pacchetto meno caro, quello da 9,99€ al mese.
La scelta è stata quasi istintiva. Un piccolo sacrificio economico ci può stare, ho pensato, per uno dei servizi che utilizzo di più nella quotidianità del mio lavoro.
È una strategia piuttosto comune quella scelta da Google, e che si applica a tante altre aziende su internet, e si potrebbe riassumere così: “i nostri servizi sono gratis, finché non lo sono più”.
Questo meccanismo permette alle aziende di accorciare al massimo la curva di adozione da parte degli utenti, e di passare all’incasso nel momento più opportuno. Ovviamente, funziona.
Del resto il free non esiste su internet — o almeno non sui servizi for profit su larga scala.
La stessa sorte inevitabile, a breve, si abbatterà come una mannaia anche sulla novità tecnologica più chiacchierata del 2022: l’intelligenza artificiale generativa.
Finora ChatGPT, il chatbot sviluppato da OpenAI, è stato reso accessibile a chiunque senza costi.
La scelta, ironicamente, ha pagato.
Il software ha attratto decine di milioni di utenti, professionisti e curiosi. Come DALL·E e Midjourney prima, è diventato virale.
Ma ChatGPT si scontra ormai ogni giorno con la soglia della “full capacity”: a un certo punto i suoi server non sono più in grado di supportare la mole di richieste inviate dagli utenti, e il sito smette di essere accessibile.
Sam Altman, il CEO di OpenAI, ha già messo in guardia gli utenti: “Prima o poi dovremo iniziare a monetizzare in qualche modo: per il servizio sosteniamo costi da capogiro”.
OpenAI non fa beneficienza
Fondata nel 2015 come una no profit, con la missione di “garantire che l'intelligenza artificiale agisca a beneficio di tutta l'umanità”, OpenAI si è trasformata in for profit nel 2019.
I suoi soci fondatori - tra cui c’era Elon Musk, che però poi ha lasciato - hanno scelto a quel punto di imporre un tetto massimo ai propri guadagni (piuttosto generoso: non più di 100 volte di più rispetto all’investimento iniziale).
Intanto gli interessi attorno al nuovo colosso dell’intelligenza generativa si sono surriscaldati: è notizia di questi giorni che Microsoft voglia investire altri 10 miliardi in OpenAI, facendo salire la sua partecipazione al 49%. Il suo obiettivo è integrare ChatGPT in Word, Bing e nei suoi servizi email.
I soci originari manterrebbero l’altro 49%, mentre un 2% “garantista” resterebbe in capo alla no-profit.
Microsoft, in cambio, tratterrà il 75% dei profitti di OpenAI finché si rifarà del proprio investimento.
Già oggi, infatti, OpenAI guadagna.
E parecchio, anche: l’azienda prevede di incassare quest’anno oltre 200 milioni di dollari e di arrivare a 1 miliardo nel 2025.
Ho chiesto a ChatGPT quale sia il suo modello di business, e mi ha risposto così:
“OpenAI fornisce accesso ai propri modelli tramite un'API e concede licenze per le aziende e i partner. A volte lavora anche su progetti di ricerca e sviluppo per i clienti, oltre a investimenti, donazioni e sovvenzioni filantropiche”.
Chiacchierare costerà, ma quanto?
Nel futuro le fonti di introito di OpenAI senza dubbio si espanderanno.
Uno dei prossimi passi potrebbe essere la nascita di una proposta commerciale consumer indirizzata a chiunque voglia utilizzare ChatGPT.
Il ceo Altman ha già ipotizzato l’introduzione di uno usage-based pricing che possa costare “pochi centesimi per ogni chat”.
Il passaggio a un modello a subscription sembrerebbe poi naturale — con un abbonamento flat che permetterebbe agli utenti di generare chat illimitate, rivolto soprattutto ai professionisti.
E poi c’è, ovviamente, la terza via: quella della pubblicità.
Trovare un modo di inserire messaggi commerciali dentro a ChatGPT non è banale, ma nemmeno inimmaginabile: le domande che rivolgiamo al chatbot contengono informazioni preziose sui nostri bisogni, personali e lavorativi.
È un principio analogo a quello che sfruttò Google quando iniziò a monetizzare il proprio motore di ricerca, nell’ottobre del 2000, introducendo AdWords — che oggi genera 38 miliardi di introiti ogni anno.
“Disegnami un cesto di uova d’oro”
Ci sono già diversi esempi di monetizzazione di strumenti simili, anche su piccola scala.
L’imprenditore seriale Pieter Levels ha generato 100.000 dollari con il suo AvatarAI in soli 10 giorni.
E quello dell’IA generativa si annuncia come una delle miniere più lucrative di questo decennio.
Secondo un nuovo rapporto di Grand View Research, le dimensioni economiche del settore dovrebbero raggiungere 109,37 miliardi di dollari entro il 2030.
Il mercato crescerà mediamente del 34,6% ogni anno fino ad allora, e diventerà centrale in molti settori tra cui i media, la finanza, le telecomunicazioni, la salute e l’automotive.
I modelli di business di questa industry saranno più di uno ma, qualsiasi sarà la loro evoluzione, una certezza c’è: l’intelligenza artificiale generativa non è destinata a restare gratuita, né a buon mercato.
Un altro conto alla rovescia è già partito.
Alla prossima Ellissi
Valerio
*La prima versione di questo post definiva l’introduzione del blocco orario di Meet come “una prima volta”. Non è così: anche prima dl 2020 il servizio non permetteva chiamate di gruppo superiori ai sessanta minuti. Grazie a Marco Ziero per la segnalazione!
Nella mia reading list
🟡 Le tecnologie che ci hanno salutato per sempre nel corso del 2022.
🟡 A Cheddar, che doveva rivoluzionare la tv, sta succedendo un casino.
🟡 In difesa delle vibe.
🟡 Come una rubrica di un magazine sul sesso è diventata una serie su HBO.
🟡 Il figlio di Donald Trump avrà il suo (strapagato) podcast.
🟡 C’è una new entry nel panorama dell’editoria italiana.
🟡 È il momento della verità per la creator economy?
🟡 Tornare a meravigliarci può farci stare meglio.
🫡 Se questa newsletter ti piace girala a tutti quelli che ti conoscono, non costa nulla. Alla prossima!
Ottimo al solito!
Nello specifico non ci "salveranno" i primi esemplari di LLM/GAN a codice aperto; c'è una bolletta della luce non indifferente già solo per l'addestramento.
Speriamo che esca dove necessario anche buona regolazione, non credo che l'OPEC dell'AI sia la strada giusta ... qui fare cartello è un attimo ed avverrà a livello di sistemi ed egemonie complesse.
E' un peridoo fertile per i domatori di AI
Grazie,
D