La storia del musicista italiano che ha sconvolto Internet
Tre riflessioni su una vicenda poco conosciuta.
Ciao,
oggi attraversiamo una nicchia di Internet in cui la vicenda di un creator italiano sta facendo parecchio rumore.
Ah, ho scoperto da poco che Ellissi è la diciassettesima newsletter più seguita su Substack in Italia e la prima in assoluto a tema tecnologia. Devo essere onesto: non me l’aspettavo.
Grazie a AI@Work per avere scelto di sostenere la puntata di oggi. Vuoi pubblicizzare la tua azienda da queste parti? Rispondimi per ricevere il media kit.
Buona lettura.
Valerio
La storia del musicista italiano che ha sconvolto Internet
Anche voi avete la sensazione di imbattervi sempre nelle stesse cose, online? Gli stessi format, le stesse inquadrature, le stesse canzoni, la stessa musica?
Be’, sappiate che non è una sensazione isolata. Internet, in fondo, è una grande fotocopiatrice.
Alcuni contenuti sono proprio identici, frutto di copia e incolla: post sui blog, lanci di agenzia, video scaricati e ricaricati.
La maggior parte dei contenuti rientra però nella categoria dei near-duplicate — alterati il minimo indispensabile per sembrare originali.
Ci sono poi quelli che traggono un po’ troppa ispirazione dal lavoro altrui (e che a volte “dimenticano” di citare le fonti, ops).
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Questo non significa che, online, tutto ciò che si somiglia sia frutto di un plagio.
Copiare è parte della cultura della rete da sempre, e il confine tra ispirarsi e scopiazzare sul web è piuttosto difficile da tracciare.
Pensiamo ai meme, l’esempio più lampante di come il riutilizzo di alcune formule possa protrarsi nel tempo senza smettere di funzionare.
La creatività digitale viaggia da sempre su binari più veloci di quelli della produzione culturale tradizionale.
E l’emulazione è parte integrante di questo processo collettivo, in cui chiunque tutti noi - anche non-creator - tendiamo a replicare formule già viste in caroselli, story, reel e post di altri.
Secondo una statistica condivisa da un ingegnere di Google nel 2022, addirittura il 60% della rete sarebbe composta da duplicati.
Visto così è un numero impressionante, ma va tuttavia pesato, dal momento che include i duplicati “tecnici”, come le pagine ripubblicate per errore e le URL che si differenziano per la presenza o meno del prefisso www o del protocollo https.
Il caso Giacomo Turra
Da qualche settimana la community dei musicisti su Instagram e YouTube non parla d’altro che di un giovane chitarrista italiano diventato star del web, il cui nome magari non vi dirà molto: Giacomo Turra.
Eppure Turra ha una fanbase di grandi dimensioni, con oltre 700mila follower su Instagram e 240mila su YouTube.
Una fama che si è costruito suonando: il classe 1997, cresciuto a Trento, pubblica video delle sue performance virtuosistiche a cavallo tra funky, jazz e pop.
I suoi video sono spontanei, le sue capacità musicali davvero buone: questo lo ha aiutato non solo a ottenere una certa celebrità, ma anche a monetizzare il proprio lavoro.
Oltre alla pubblicità sugli stream, Turra guadagna anche attraverso un proprio canale su Patreon e vanta collaborazioni con grandi brand musicali internazionali come D’Angelico e Laney.
O meglio, aveva e vantava.
Sì, perché la sua attività da creator si è interrotta bruscamente ad aprile, quando Danny Sapko - youtuber e bassista anch’egli molto seguito - ha pubblicato un video intitolato «I caught this famous Instagram musician STEALING songs».
Nel video Sapko accusa Turra di due cose, sostanzialmente.
La prima è che il musicista italiano utilizzerebbe dei “trucchetti” per migliorare le proprie performance chitarristiche, modificando artificialmente il suono prodotto dallo strumento o registrando alcuni assoli a velocità rallentata per poi velocizzarli.
La seconda accusa di Sapko a Turra, ben più grave, è quella di avere suonato composizioni musicali di altri artisti spacciandole come proprie.
Il musicista italiano non solo avrebbe preso i brani originali da canali meno conosciuti del suo senza creditarli correttamente, ma anche venduto gli spartiti ai suoi fan senza previa autorizzazione degli autori.
Turra non sarebbe nuovo a questo tipo di attività, come sembrano confermare le parole di alcune delle potenziali vittime di plagio che lamentano episodi simili fin dai tempi della pandemia.
Da quando è uscito il video di Sapko l’italiano ha smesso di pubblicare contenuti. Con un’eccezione: un video di scuse che però non sembra essere stato ritenuto particolarmente convincente.
Quest’ultimo contenuto risulta ora offline, così come l’intero canale YouTube di Turra e il suo sito. Resta attiva, al momento, solamente la pagina Instagram.
Cosa mi ha colpito di più
La vicenda di Turra mi ha fatto riflettere su tre aspetti.
Il primo è su come le community digitali dei musicisti abbiano reagito allo scandalo che ha visto protagonista il musicista italiano.
A partire dalla video-inchiesta di Sapko, infatti, YouTube si è trasformata in una sorta di grande redazione giornalistica allargata, dando vita a un palinsesto collettivo con decine di creator attivi in contemporanea nel ricostruire la vicenda.
In molti sono andati a cercare informazioni sui musicisti defraudati per restituirgli visibilità, altri hanno utilizzato i propri canali per rivelare le proprie esperienze personali con il chitarrista 28enne, altri ancora hanno rilanciato la notizia aggiungendo il proprio punto di vista.
Una dinamica non del tutto nuova in rete, certo, ma sicuramente interessante.
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Il secondo aspetto riguarda le piattaforme stesse, per cui il rapporto fiduciario tra i creator e le rispettive audience è un asset economico fondamentale.
Il modello relazionale che lega chi produce i contenuti e chi li fruisce è basato sulla trasparenza e sulla credibilità.
Per anni abbiamo visto la fiducia nei media tradizionali erodersi in favore dei creator, che «mettendoci la faccia» vengono considerati più attendibili rispetto alle strutture classiche dell’informazione e dell’intrattenimento.
Se vogliono salvaguardare questo tipo di percezione, le piattaforme devono trovare modi efficaci per assicurare ai propri utenti la possibilità di esprimere la propria creatività con libertà ma nel rispetto del lavoro altrui.
L’applicazione di controlli algoritmici su larga scala - pensiamo ai sistemi automatici di detection di brani musicali i cui diritti sono di proprietà delle etichette discografiche - finisce per proteggere soprattutto le grandi aziende, ma non aiuta i creator emergenti. Anzi, talvolta li penalizza.
Inoltre sarebbe bello che le piattaforme introducessero nuovi modi per incentivare la creazione collettiva: penso a strumenti di revenue sharing che permettano a più creator di condividere facilmente gli introiti di un contenuto, oppure a modi per aumentare la visibilità e l’utilizzo dei credit nei video. O ancora la possibilità di applicare licenze Creative Commons ai propri post, story o reel.
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Infine, il terzo aspetto riguarda l’allenamento dei grandi modelli di intelligenza artificiale che, come è risaputo, hanno utilizzato materiale protetto da copyright per immagazzinare ed elaborare informazioni.
Se da un lato è impossibile pensare che un singolo creator possa arginare questo tipo di atteggiamento predatorio, dall’altro credo che se nemmeno noi utenti riusciremo a rispettare la proprietà intellettuale di altri autrici e autori, allora avremo già perso.
Dico questo al netto delle mie personali considerazioni su come la cultura e l’informazione dovrebbero essere veicolate online: credo infatti che ci sia un grande valore nella condivisione libera e gratuita dei contenuti, nell’uso corretto dei link, dei credit e degli estratti in un’ottica di fair use, così come nella capacità collettiva di co-creazione degli individui in rete.
Su questo tema consiglio anche la lettura di una delle ultime newsletter di Donata Columbro, che ha visto uno dei suoi libri fagocitato dai sistemi che allenano i large language model di Meta.
Nella newsletter, Columbro cita anche una frase della sociologa e scrittrice Ruha Benjamin - presa a sua volta da un paper scritto da Lauren Klein e Catherine D’Ignazio - che pone l’accento sulla responsabilità umana nel progettare una tecnologia, e quindi una società, migliore:
«Costruisci i mondi di cui non puoi fare a meno, mentre smantelli quelli in cui non puoi vivere».
Ecco, anch’io ripartirei da qui.
Alla prossima Ellissi
Valerio
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💻 Cosa sto leggendo
🟡 I data center hanno una sete insaziabile, e alla fine senz’acqua resteremo noi.
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Jia 💘