Ciao,
che anno è stato questo 2023!
Ah, come dici, è solo metà luglio?
Uff. Va bene, dai, allora facciamo così: ci prendiamo una pausa e ci rileggiamo tra un po’.
Ché anche le newsletter hanno bisogno di una vacanza ogni tanto.
{Nel frattempo sto scrivendo un libro. Non so ancora quando uscirà, ma magari al rientro dalle ferie ti racconto qualcosa di più.}
Intanto grazie per avere frequentato, apprezzato e condiviso questa newsletter lungo tutti questi mesi. Spero che anche questa puntata ti piaccia.
Stammi bene, eh!
Noi ci risentiamo a settembre. 👋
La patata della fortuna
Hai già sentito parlare della patata della fortuna? No?
Eppure, la potato of luck è stata il quarto post più popolare di tutto Facebook nel mese di giugno.
In poche settimane, l’immagine JPEG raffigurante un tubero dorato ha raccolto oltre 2 milioni di like e 187mila condivisioni.
La foto è stata anche commentata da più di 150mila persone; la maggior parte dei commenti recita, semplicemente, “Amen”.
A pubblicare la patata della fortuna è stata All You Can Eat, una pagina che distribuisce tristissimi meme a tema cibo, e che cerca di vendere ai suoi follower altrettanto tristi gadget culinari su Amazon.
Tra questi ci sono uno stampo per ghiaccio a forma di bomba a mano e dei bicchieri per shot a forma di orinatoio.
Chissà se la pagina in questione, grazie al successo planetario della sua potato of luck, sia riuscita a racimolare qualche spicciolo. Chissà.
È una questione di qualità
No, non ce l’ho con la patata della fortuna, né con All You Can Eat, e in fondo nemmeno con Facebook (RIP).
Mi sembra però che i social abbiano ormai sviluppato una certa aura, pestilenziale, di decadenza.
La qualità dei contenuti che ospitano mi sembra sempre più bassa, così come il livello delle interazioni che scatenano.
A parte qualche notevole eccezione (YouTube, TikTok, Twitch), tutte le altre piattaforme sembrano ormai incastrate in una sorta di crisi permanente di identità.
Penso ai centodieci Twitter-cloni usciti in questi mesi — pur essendo appena nati, non sembrano anche a te già vecchi?
La crisi delle piattaforme si riflette anche su chi le utilizza, e cioè noi.
C’è un pubblico sempre più stanco e sfibrato, tirato in mezzo dai tentativi delle aziende tech di restare rilevanti.
Chi ha già provato Threads, l’ultimo spazio a marchio Meta, come Ryan Broderick, lo ha definito «un cimitero dei contenuti».
Ecco, i contenuti. In teoria, dovrebbero essere proprio loro i principali custodi dell’engagement di una piattaforma.
Invece mi sembra che la qualità creativa generale sia in fase calante.
Sarà l’accresciuta competizione a basso costo per la nostra attenzione, la mancanza di opportunità efficaci di monetizzazione per i creator, o il nostro generico calo di entusiasmo.
Oppure sarà il rumore infinito sempre più pervasivo, che rende ancora più difficile scindere l’utile dall’inutile, il bello dal brutto, la pubblicità dall’intrattenimento, il finto dal vero.
Ma c’è qualcosa che non mi torna.
La “content blindness”
Ti ricordi quando Internet si è riempita di banner pubblicitari, e noi abbiamo smesso di “vederli”?
È quella che in gergo digitale si chiama banner blindness, la cecità da banner: i banner ci sono, riempiono le pagine web, ma i nostri occhi hanno imparato - quasi inconsapevolmente - a ignorarli.
Mi sembra che stia succedendo qualcosa di analogo anche ai contenuti.
L’accelerazione dei feed negli ultimi anni ha diminuito ulteriormente la nostra capacità di consumare attivamente quello che scorre sui nostri schermi.
Stiamo assistendo, credo, alla nascita di una forma di content blindness, che non ci fa afferrare, capire o “vedere” appieno quello che appare nelle timeline dei social.
Sulle piattaforme, gli input che ci colpiscono sono ormai talmente omologati e privi di creatività che fatichiamo a trovare un senso profondo a quello che vediamo.
Tutto sembra piuttosto trito e ritrito: le formule, le strutture, i linguaggi.
A peggiorare la situazione, poi, c’è la crescente inondazione di contenuti generati automaticamente dall’intelligenza artificiale - dagli ebook su Amazon alle finte recensioni, fino alle immagini di attualità - che stanno inondando i nostri feed a grande velocità.
Non è più così chiaro chi stia parlando - grazie, Twitter Verified! - e nemmeno, forse, che cosa ci voglia comunicare.
Nessun elemento di questa pubblicità vista su Twitter (l’utente verificato, il link, i soggetti, i verbi, la foto) ha senso. No, non ci ho cliccato.
Esiste una via d’uscita?
L’antidoto alla content blindness è uno solo: un prepotente ritorno all’originalità.
Solo chi saprà contrapporre una visione creativa forte alla “cecità” causata dal sovraccarico dei contenuti a bassa qualità potrà continuare a sviluppare una relazione significativa con la propria audience.
Le piattaforme però in questo processo devono aiutarci, diventando più umane.
In primo luogo, capendo quanto sia importante penalizzare ciò che umano non è — o almeno distinguere i contenuti artificiali da quelli “naturali”.
In secondo luogo, i social dovrebbero offrirci nuovi strumenti per valorizzare la creatività e la qualità del nostro pensiero individuale, piuttosto che propinarci l’ennesimo filtro per farci sembrare tutti più uguali.
Ma non so se questo rientra nel loro modello di business. Non più della patata della fortuna, almeno!
Buona estate
Valerio
Loop, gli approfondimenti di Will per capire il mondo
Se ti va di approfondire temi delicatissimi come il rapporto tra media e crisi climatica, l'ideological divide che ci polarizza sempre di più o quello che si nasconde nel nostro DNA, dovresti iscriverti a Loop, lo spazio di approfondimento di Will per capire il mondo (e fare un figurone a cena). Puoi farlo da qui, oppure cliccando sul tasto sotto:
Una reading list di libri per te 📚🏝️
Per questa ultima newsletter prima della pausa, invece dei “soliti” link, ho pensato di suggerirti qualche saggio da portare con te in vacanza. I temi sono quelli di Ellissi: media, internet e tecnologia. Buona lettura!
🟡 «Content. L’industria culturale nell’era digitale», di Kate Eichorn (Giulio Einaudi Editore)
🟡 «Le paludi della piattaforma», di Geert Lovink (Nero Editions)
🟡 «Internet fatta a pezzi», di Vittorio Bertola e Stefano Quintarelli (Bollati Boringhieri Editore)
🟡 «Media. Una cassetta degli attrezzi», di Michael Z. Newman (Giulio Einaudi Editore)
🟡 «Stiamo sprecando Internet», di Antonio Pavolini (Franco Cesati Editore)
🟡 «Sei vecchio. I mondi digitali della generazione Z», di Vincenzo Marino (Nottetempo Editore)
🟡 «Error 404. Siete pronti per un mondo senza Internet?», di Esther Paniagua (Einaudi)
🟡 Bonus, e pure gratis! Questo ebook illustrato sulle climate change warriors, ideato dal fumettista Gianluca Costantini e dalla giornalista Laura Silvia Battaglia, è una piccola meraviglia. A realizzarlo, studenti e studentesse della Scuola di Giornalismo dell’Università Cattolica di Milano, in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Bologna.
Se ne leggi qualcuno, poi fammi sapere cosa ne pensi :)
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Complimenti. questo pezzo in chiusura pre-festiva a me è risultato "illuminante". Come quando hai un pensiero latente, un "ce l'ho sulla punta della lingua" e uno passa e ti risolve il dubbio. Sul mondo social ho da mesi sviluppato una certa repulsione e non pensavo bene al perché.
Semi-citando Caro Diario quando Nanni Moretti arriva in vespa a dire a un tizio: ma sai che Pigneto non è così male? - ma infatti! e vromm via. ecco, potrebbe essere: sai i social hanno rotto il c.... perché ci sfrantumano con cose fastidiose e inefficaci- ma infatti! e tu vrummm sei già in vacanza. Beato te.
cmq complimenti ancora.