La malattia e la cura
Togli la pubblicità. Metti la pubblicità. Togli la pubblicità. Metti la pubblicità.
Ciao,
sei sintonizzato su Ellissi, la newsletter che da oltre tre anni ti aiuta a osservare il mondo della tecnologia e dei media con ottimismo (just kidding).
Oggi parliamo di cortocircuiti dei social, che sembrano volerci offrire vie d’uscita ai problemi che hanno creato. La domanda è: perché?
Buona lettura,
Valerio
La malattia e la cura
In un lungo articolo pubblicato su La Stampa di giovedì, Jonathan Safran Foer riflette sulla nostra relazione con la tecnologia.
La società in cui viviamo, argomenta lo scrittore americano, tende a offrirci una narrazione falsata del concetto di progresso, che ci viene spesso raccontato come una forza motrice innata, impossibile da fermare.
In questo scenario «andare avanti» è l’unica opzione che abbiamo, e ogni prossima tecnologia sarà quella che «cambierà tutto».
Nel pezzo, Foer si pone una domanda tutt’altro che sbagliata, che potrei parafrasare in questo modo:
Tutte queste promesse di progresso, questi canti di salvezza tecnologica, rispondono davvero a bisogni umani concreti?
Oppure sono le aziende tecnologiche a indurre in noi determinate necessità, per proprio tornaconto commerciale, creandole a tavolino?
Foer sembra sostenere questa tesi: infatti, scrive, sempre più spesso ci troviamo costretti a cercare soluzioni tecnologiche per risolvere problemi tecnologici — questi ultimi causati dalle stesse società che ci vendono le prime, ovvero le big tech.
È un cortocircuito, insomma: «stiamo creando la malattia e la chiamiamo cura».
Fare, rifare, disfare
Leggere le riflessioni di Foer è interessante, soprattutto considerando quello sta succedendo in queste settimane attorno ai modelli di business delle piattaforme social.
Le quali, dopo avere perfezionato per due decadi un modello pubblicitario basato sull’estrazione e lo sfruttamento dei nostri dati, ora sembrano volerci offrire una via d’uscita.
Per la prima volta nella loro storia, infatti, app come TikTok, Instagram e Facebook (ma anche X) stanno pensando di introdurre dei piani a pagamento che ci permetteranno di navigare senza pubblicità.
Queste opzioni ad-free non saranno, però, tutte uguali.
Per TikTok, l’introduzione del piano “zero pubblicità” - in fase di test a 4,99€ al mese - sarebbe un tentativo di diversificare il proprio modello di business.
Per Facebook e Instagram si tratterebbe invece di una scelta più politica: i social di proprietà di Meta hanno bisogno di accontentare i regolatori europei.
L’azienda era stata multata a gennaio per avere sottoposto i propri utenti alla pubblicità targettizzata senza avergli chiesto il permesso.
Grazie all’introduzione di un piano a pagamento, Meta pensa di poter sistemare le cose agli occhi dei regolatori:
«Se vuoi la pubblicità ti becchi anche il targeting; se non vuoi la pubblicità, paghi». Questo, in sintesi, il senso dell’operazione.
E se decidi di pagare, sappi che ti costerà caro. Secondo quanto rivelato da Reuters, il prezzo della subscription ad-free di Facebook e Instagram dovrebbe assestarsi attorno ai 10 euro.
Non si tratta chiaramente di un prezzo popolare, ma è normale: Meta non ha alcun interesse a far sì che i suoi utenti scelgano il nuovo piano a pagamento.
I nostri scroll, like e swipe sono ben più remunerativi di così, e Meta non vuole perdere nemmeno una goccia dei $113 miliardi di ricavi che ottiene ogni anno dalla pubblicità.
Ad ogni modo Zuckerberg, io credo, non ha nulla di cui preoccuparsi.
È vero che gli adv sono invasivi e fastidiosi, ma quanti pagheranno per qualcosa che è sempre stato gratis?
{Piccolo inciso. Ti ricordi il vecchio motto di Facebook, «è gratis e lo sarà sempre», poi rimosso qualche anno fa?}
Un cortocircuito capitale
In questo inatteso slancio delle piattaforme verso l’ad-free intravediamo i segnali del cortocircuito raccontato da Foer.
Fa sorridere, infatti, pensare che siano proprio le aziende che hanno invaso più a fondo la nostra privacy, commercializzando fino all’ultimo dei nostri dati, a offrirci una scappatoia dal modello che le ha rese ricche.
Simili anomalie, del resto, non appartengono solo alla tecnologia, ma all’intero sistema economico-finanziario in cui viviamo: gran parte dei modelli di business che regolano e sorreggono le nostre società ha la tendenza a creare la malattia e chiamarla cura.
Davvero l’unica alternativa che abbiamo è quella di arrenderci a un male necessario, oppure di pagare per eliminarlo?
Non ho una risposta, purtroppo. Ma vorrei tanto non dovermi porre questa domanda.
Alla prossima Ellissi
Valerio
Nella mia reading list
🟡 X contro X.
🟡 Quanto è grande Amazon, seriamente?
🟡 C’è un nuovo giornale che non sarà mai disponibile online.
🟡 L’unica teoria del complotto sui media che è difficile negare.
🟡 I finti MrBeast che regalano iPhone non piacciono a MrBeast.
🟡 Si parla troppo poco della libertà di stampa in Europa.
🟡 Un’estensione browser per misurare quanto parlano i tuoi colleghi nelle call su Google Meet.
🟡 E infine, dall’archivio: il manifesto dei media rigenerativi.
🫡 Per mandare questa Ellissi ai tuoi cari puoi cliccare qui:
comunque è esattamente lo stesso dilemma (o paghi o ti profiliamo) che Gedi e Corriere propongono da un anno