Internet è una chiavetta USB
È arrivato il momento di riavviare il sistema operativo della rete?
Ciao,
questa mattina su Ellissi ti porto le prime pagine di «Riavviare il sistema», il mio libro in uscita oggi per Chiarelettere.
Parla di Cuba, racconta di un Internet diverso da quello a cui siamo abituati, e in fondo spiega perché ho deciso di scrivere un saggio sul passato e il futuro della rete.
A proposito: puoi trovarlo nella tua libreria di fiducia oppure acquistarlo online cliccando qui.
Fammi sapere se lo leggerai — sono davvero curioso di sapere cosa ne pensi.
Buona lettura,
Valerio
Internet è una chiavetta USB
— Tratto da «Riavviare il sistema» (Chiarelettere, 2024)
Manuel mi fa un cenno dal portone di casa. «Vieni, rapido».
Sto per lasciare Cuba, e un taxi per l’aeroporto mi sta aspettando lungo calle Leonor Pérez.
È mattina. La via sarebbe ancora deserta, se non fosse per un gruppo di ragazzi che gioca a calcio in un giardinetto poco distante, ascoltando reggaeton a tutto volume.
Prima di lasciare l’isola c’è ancora qualcosa che devo fare: recuperare un pacchetto che aspetto da una settimana. Manuel lo sa, e sorride.
«Eccoti il famoso paquete cubano, Valerio. Sei stato fortunato, mia moglie lo ha recuperato giusto ieri», mi dice. «Così ne puoi scrivere nel tuo libro. Poi ce ne mandi una copia, ok?»
Dal 2008, a Cuba, Internet si tiene in una mano. E di mano in mano viaggia, senza sosta, tra i vicoli stretti dell’Habana Vieja, fra i palazzi colonici di Trinidad, lungo le strade sterrate di Viñales.
È la “rete offline” che tiene Cuba agganciata a Internet, e quindi al resto del mondo. Qui lo chiamano confidenzialmente el paquete semanal, letteralmente “pacchetto settimanale”: un archivio sterminato di file digitali che, ogni sette giorni, viene raccolto da un network di esuli cubani a Miami, e distribuito sull’isola caraibica attraverso chiavette USB e dischi rigidi.
Una sorta di cloud clandestino dentro cui si trova un po’ di tutto: articoli di giornale in inglese e spagnolo, video musicali scaricati da YouTube, intere serie tv di Netflix e HBO, applicazioni per il computer, reel di tendenza su TikTok.
Attraverso il paquete, gli oltre 10 milioni di abitanti dell’isola caraibica restano al passo con quello che succede al di là del mare. È una forma di resistenza: da sempre, infatti, accedere a Internet a Cuba è un’impresa.
Anche a causa dell’isolamento imposto da oltre sessantacinque anni di embargo statunitense, l’isola non è collegata da nessuno dei cavi subacquei in fibra ottica ad alta velocità che mettono in connessione il pianeta.
La connessione satellitare disponibile è lenta e instabile, e i suoi costi proibitivi per la maggior parte dei cubani.
Il paquete si paga – circa 25 CUP, l’equivalente di 1 euro – ma è decisamente più abbordabile rispetto alla rete Internet “normale”: per un pass mensile da 4 gigabyte, che permette di navigare per sole quarantotto ore, a Cuba si spendono quasi 30 euro.
Il governo guidato da Miguel Díaz-Canel, pur avendo parzialmente allentato la censura digitale inaugurata dalla dinastia dei Castro, ha mantenuto uno stretto controllo sulla rete. Il paquete è formalmente illegale, ma lo stato caraibico chiude un occhio sulla sua distribuzione.
Questo però non significa che il cloud clandestino cubano sia completamente libero dalla sorveglianza statale: è risaputo che l’azienda pubblica di telecomunicazioni, ETECSA, ne supervisioni i contenuti, ricorrendo spesso e volentieri alla censura.
Come avvenne nel luglio del 2021, quando alcuni celebri artisti di origini cubane espressero solidarietà con le massicce proteste anti-governative che stavano scuotendo le vie di Cuba da alcune settimane dal palco del Premios Juventud, il principale evento televisivo dedicato alla musica latino-americana.
Tutti i video della serata – decine di file, tra cui quelli che contenevano i messaggi politici lanciati tra gli altri dal rapper Pitbull e dalla cantante pop Camila Cabello – scomparvero improvvisamente dal paquete.
A quindici anni dalla sua nascita, questo sistema sotterraneo di distribuzione di media ricopre ancora la sua funzione sociale.
Le persone discutono e si confrontano sui contenuti della settimana – serie televisive statunitensi, reality show sudamericani, e articoli pubblicati dai giornali in lingua spagnola della Florida, dove oggi vivono sempre più esuli in fuga dal governo socialista.
Tra il 2022 e il 2023 sono circa mezzo milione i cubani che hanno cercato di entrare illegalmente nel paese americano; la maggior parte arriva via terra, dopo un lungo e pericoloso pellegrinaggio attraverso Nicaragua, Honduras, Guatemala e Messico; ma ce ne sono altre migliaia che scelgono di rischiare la propria vita attraversando i 160 chilometri di mare che separano Cuba dalle Florida Keys, spesso a bordo di barche sgangherate.
A scappare sono soprattutto i più giovani. Per loro il ricordo della rivoluzione del 1959, che per decenni ha garantito coesione sociale attorno a figure carismatiche come quelle di Fidel e Raul Castro, è sempre più sbiadito.
Le nuove generazioni considerano il partito socialista come il grande responsabile della crisi economica degli ultimi anni, e lo accusano di non avere avviato le riforme adatte per affrontare i problemi sociali dell’isola.
Allo stesso tempo, anche grazie a Internet, i più giovani hanno cominciato a sognare qualcosa di diverso. Attraverso dischi rigidi e chiavette, la prospettiva di un presente alternativo ha cominciato a materializzarsi anche sugli schermi di milioni di ragazze e ragazzi cubani.
Gli sfarzosi video musicali delle popstar ispanico-cubane, le serie televisive occidentali e i reel divertenti dei creator più famosi di TikTok hanno dato vita a una sorta di american dream post litteram, amato dai più giovani e osservato con sdegno e disappunto da genitori e nonni, ancora radicati nel mito della Cuba rivoluzionaria che fu.
E il paquete, in questa trasformazione culturale e sociale, ha sicuramente giocato un ruolo importante.
Muri sempre più fragili
Tenere “tutta Internet in una mano” è una sensazione piuttosto strana per chi – come me e come te – è abituato alla sua ubiquità.
L’idea che Internet si possa “toccare”, che sia dotata di una forma geometrica definita, è quasi inimmaginabile.
Siamo abituati a vivere in un’era di iperconnessione, e il nostro intero tessuto sociale si regge sulla premessa che questo network, da cui transita oggi gran parte delle nostre esperienze umane e dei servizi commerciali che utilizziamo quotidianamente, esista.
Internet, in fondo, non è mai stata solamente una tecnologia, e l’esistenza del paquete lo conferma.
La “nostra” rete, a differenza di quella cubana, è sempre più intangibile: permea le nostre vite in modo capillare, dalla mattina alla notte, ci segue ovunque andiamo.
È qualcosa che semplicemente esiste, di cui ci accorgiamo solamente in absentia, ovvero quando “non c’è” o “non va”.
La maggior parte di noi non sarebbe neppure in grado di descrivere l’infrastruttura di Internet e delle sue componenti – server, cavi, protocolli, linguaggi –, e il motivo è perfettamente comprensibile: a che serve interrogarsi sul funzionamento di qualcosa che, semplicemente, funziona?
Il fatto che oggi “semplicemente funzioni”, però, non rende Internet una macchina perfetta. Tutt’altro.
Negli ultimi vent’anni la rete è stata maltrattata, abusata, utilizzata per scopi diversi da quelli per cui era stata creata.
La sua promessa originaria – quella di uno spazio virtuale di liberazione, democrazia e aggregazione – è stata tradita. La nascita di grandi monopoli tecnologici ne ha profondamente trasformato la struttura, creando nuovi centri di potere centralizzato e polarizzando il dibattito pubblico.
L’ingerenza autocratica di aziende e governi l’ha frammentata, creando muri di accesso e disuguaglianze digitali in diverse aree e regioni del pianeta, come a Cuba.
E la diffusione di modelli di business basati su datificazione e sorveglianza ha disumanizzato il ruolo delle persone su Internet, isolandole e impedendo loro di mobilitarsi collettivamente.
Tutto questo ha reso Internet una “casa” sempre più fragile e instabile, i cui scricchiolii si sentono oggi più forti che mai, dalle fondamenta fino al tetto.
Il sospetto è che qualcosa si stia per rompere. O che si sia già rotto.
Il crollo può ancora essere evitato, ma è arrivato il momento di agire.
Questo libro nasce proprio per responsabilizzarci: perché toccherà proprio a noi, che della rete siamo abitanti e cittadini, trovare le giuste contromisure alla sua possibile rottura.
Non sarà un percorso agevole, perché ci costringerà a risalire alle radici dei problemi attuali, a porci domande, a dubitare delle risposte.
Cercheremo di fare tutto questo nei prossimi capitoli, analizzando cinque fenomeni di lungo corso – la privatizzazione, la commercializzazione e la piattaformizzazione, la deumanizzazione e la gentrificazione – ed esplorando l’effetto che i modelli di business digitali hanno avuto sulle nostre identità individuali e collettive.
Alla fine, invece, osserveremo da vicino le traiettorie e le sperimentazioni positive già in atto, intercettando i segnali che potrebbero aiutarci a scrivere il prossimo capitolo della rete.
Cercheremo di capire quali strumenti, tecnologici e umani, abbiamo a disposizione per riaggiustare la nostra casa fragile.
Quali pulsanti possiamo azionare per riavviare il sistema operativo di Internet.
Se crediamo che la rete sia un bene pubblico, dovremo imparare a prendercene cura, a difenderla: perché Internet, in fondo, siamo noi, e il suo futuro dipenderà molto dalle scelte collettive che faremo a partire da oggi.
Alla prossima Ellissi
Valerio
Nella mia reading list
🟡 Esempi belli e brutti su AI e giornalismo.
🟡 «Chiudi gli occhi e pensa a qualcosa di bello».
🟡 Il New York Times contro tutti: prima OpenAI, ora i cloni di Wordle.
🟡 La teoria del complotto attorno a un piccolo produttore di videogiochi chiamato “Sweet Baby”.
🟡 Digital divide all’inglese.
🟡 Perché Google Maps è diventato quasi irraggiungibile?
🟡 Mi sono rifatto il sito web, come sempre con la direzione creativa degli amici di Pop-Eye. Eccolo qui!
Riavviare il sistema: scaricato stanotte e già mezzo letto.
Il "Savoring" di Amazon mi ha messo addosso un enorme disagio